Ho scoperto la mutazione BRCA2 dopo la diagnosi di tumore al seno


Quando Clarissa scopre di avere un carcinoma duttale invasivo in stadio avanzato, non ha idea di che cosa significhi avere un tumore. È una giovane mamma catapultata a 31 anni nel mondo oncologico. La rivelazione della mutazione BRCA2 è una doccia fredda.

Perché davanti a mutazioni genetiche che aumentano il rischio di cancro, la terapia per la cura del tumore al seno va regolata di conseguenza. Tutto cambia nuovamente, mentre lei tocca le difficoltà di una malattia di cui si parla ancora poco. Come ci si comporta davanti a diagnosi sbagliate, scarsa informazione, terapie aggressive, effetti collaterali devastanti e un quadro clinico impegnativo? Clarissa ci racconta la sua esperienza

La sua fortuna? Avere un seno denso che alla palpazione nasconde eventuali anomalie e che la obbliga fin da ragazza a ecografie di controllo annuali. “Quando a 31 anni, nel 2023, ho scoperto di avere il tumore al seno, il medico mi aveva appena detto, durante l’ultima eco, che c’erano solo delle cisti a grappolo sul seno sinistro” ci spiega Clarissa. “Erano piccole, la più grande meno di un centimetro. Niente di cui preoccuparsi, tanto l’anno successivo le avremmo ricontrollate. Invece, mentre ero al mare pochi mesi dopo, ho avvertito nel seno qualcosa grande come una pietra”.

Non si allarma, perché pensa alle cisti. “Ma mia madre mi ha obbligata a fare subito una nuova ecografia. Purtroppo, sono tornata dallo stesso medico che con superficialità mi ha liquidato con una diagnosi di fibroadenoma, suggerendomi una risonanza con il contrasto per averne certezza. Mi ha detto che non c’era fretta, di pensarci con calma dopo l’estate”. Però Clarissa non è tranquilla e, grazie al consiglio di un’amica medico, va dalla senologa per la mammografia. “Ricordo esattamente le sue parole: Guarda, qui non ci sono solo fattori benigni da considerare”.

Il carcinoma invasivo della mammella cresce rapidamente

Comincia così l’odissea in un mondo estraneo a Clarissa. Il giorno successivo fa la biopsia al seno e al linfonodo ascellare. “Quando sono uscita dalla sala ho pianto disperata tra le braccia di mio padre che mi aveva accompagnata, perché sapevo che non mi attendeva niente di buono. Mi spaventava di più il rischio di lasciare i miei figli ancora piccoli senza la loro mamma, della certezza di dover affrontare la malattia”.

Quando il 25 luglio 2023 arriva il referto, Clarissa scopre di avere un carcinoma duttale invasivo, in stadio avanzato. “Il mio tumore al seno aveva avuto una crescita rapidissima, era arrivato a 6 cm e aveva già coinvolto il linfonodo sentinella”.

L’atmosfera rilassata delle vacanze al mare con la famiglia svanisce. “Io c’ero solo fisicamente perché la mia mente era sopraffatta dalla preoccupazione per il futuro dei miei due bambini: sono ancora piccoli, oggi hanno 3 e 5 anni. Il pensiero che per colpa della mia malattia loro potessero essere privati della mamma, mi faceva disperare”. Quando l’esito dell’esame istologico conferma la diagnosi del carcinoma duttale infiltrante alla mammella, con una TAC controllano dove si trova il tumore. “Per fortuna era localizzato al seno e al linfonodo sentinella, quindi non avevo metastasi a distanza. È stato il primo giorno in cui ho provato sollievo: quella era una buona notizia”.

Agosto: solo il tumore al seno non va in ferie

I medici spiegano a Clarissa il percorso che la attende. Per il chirurgo, un tumore di 6 cm non è operabile, prima servono sei mesi di chemioterapia per ridurre la massa. “Però eravamo a luglio e sappiamo che ad agosto il mondo si ferma. A Roma, dove vivo e mi curo, mi hanno detto di attendere settembre non solo per iniziare la chemio, ma anche per inserire il PICC al braccio, ovvero il catetere venoso necessario per le infusioni di chemio. Purtroppo in ospedale c’era un solo medico dedicato a questa operazione, ad agosto era in ferie senza alcun sostituto a disposizione”.

La prospettiva di aspettare il rientro dello specialista e, di conseguenza, ritardare l’inizio della chemioterapia a Clarissa non piace. “Mi hanno diagnosticato il tumore al seno a 31 anni, quando le cellule hanno un’elevata velocità di riproduzione, agire tempestivamente è fondamentale. Per fortuna, ho potuto risolvere facendo inserire il PiCC privatamente: perché davanti a un tumore, prima si interviene meglio è”.

Effetti collaterali della chemio neoadiuvante

Settembre sembra non arrivare mai, mentre Clarissa cerca di vivere la quotidianità delle vacanze in famiglia. “Non è stato facile, perché anche se all’esterno mostravo una parvenza di normalità, sentivo di convivere con il nemico: avevo paura che la situazione degenerasse da un giorno all’altro”. Infine, il 4 di settembre Clarissa comincia il primo di quattro cicli di chemio rossa, seguito dalla chemio bianca e dalla terapia contro il tumore ormonale per indurre la menopausa.

Con la chemio i capelli cadono a ciocche

Perdere i capelli in questo modo violento, con le ciocche che rimangono tra le mani o cadono ovunque, è di per sé un evento traumatico che provoca un disagio emotivo, ma può anche comportare la perdita di identità”. Quando ti trovi ad affrontare il cancro, però, inizialmente adotti l’approccio che usi davanti a qualsiasi malattia e ti concentri sulla cura, quindi i farmaci e l’intervento. Invece, il tumore, che ha una complessità diversa e maggiore rispetto alle altre malattie, vuole di più.

“Se non ti informano prima, sei portato a sottovalutare aspetti che sembrano solo estetici. Ti dicono che il casco ti ghiaccia la testa? Rispondi: ma che me ne frega dei capelli, ricresceranno! Poi scopri che hai sottovalutato una questione importante”.

La mancanza di capelli si accompagna al colorito della pelle grigia, alla perdita di ciglia e sopracciglia che danno profondità a uno sguardo già spento dalla malattia. Considerare questi eventi come inezie estetiche è riduttivo. Serve adottare una nuova prospettiva per comprendere la situazione. “Quando per la chemio ho cominciato ad avere buchi di capelli in testa, ho chiesto a mio padre di rasarmi a zero. Anche se da una parte è stato un sollievo, perché non avevo il pensiero di lavarli e di pettinarli, appena mi sono ripresa è stata dura: ti guardi allo specchio e non ti riconosci”.

Clarissa si procura subito turbanti e una parrucca nuova, un accessorio che diventa indispensabile da indossare prima di uscire con i figli. “Volevo evitare che gli amichetti a scuola potessero chiedere: Perché la tua mamma è senza capelli?”.

Unghie e ciglia: come un puzzle che va in pezzi

I capelli cominciano a crescere subito dopo la chemio. La stessa rapidità caratterizza la ricrescita di ciglia e sopracciglia che ha perso insieme al resto della peluria. “C’è stato un momento in cui ero completamente glabra, ma è durato poco. Però sono contenta di averne attenuato l’effetto, con il tatuaggio delle sopracciglia prima di cominciare la chemio. Sapevo che le avrai perse, così ho deciso di fare il microblading alle sopracciglia: quando sono cadute è rimasto il disegno a dare una parvenza di normalità al viso”.

Gli effetti indesiderati della chemio incidono anche sulla salute delle unghie. “La tossicità dei farmaci ha provocato la comparsa di linee bianche sulle unghie delle mani, che però nel complesso hanno resistito bene. Invece, ai piedi ho avuto meno fortuna: agli alluci le unghie sono diventate nere e sono cadute”.

Le unghie, i capelli, le ciglia, la perdita di peso: sono tutti tasselli di un puzzle che sembra scomporsi in mille pezzi. “Quando è successo, mi sono chiusa nella doccia e ho pianto. Non me ne importava nulla dell’unghia del piede, era lo stillicidio di vedermi sgretolare giorno dopo giorno”. Perché ogni singolo episodio è la spia di una preoccupazione maggiore, è il segnale del decadimento costante del tuo corpo. “Pesa ogni volta di più. Però, poi, sono sempre riuscita a circoscrivere e ridimensionare questi episodi, per riportare la mia attenzione su quello che è più importante”. La capacità di pensare lucidamente, senza negare la sua componente emotiva, forse è il segreto dell’equilibrio di Clarissa, capace di rimane salda nonostante la bufera che soffia intorno.

Come dire ai figli che la mamma ha il cancro

Quando Clarissa scopre di avere un tumore, decide di parlarne ai propri figli. Anche se sono piccoli assisteranno ai cambiamenti e alla sofferenza della mamma. Lei vuole che siano preparati. “La psicologa che mi seguiva mi ha aiutato a trovare il modo giusto per dirlo. Non c’era motivo di nascondere la verità ai miei figli. Anzi, poteva solo essere peggio perché avrebbero visto le mie condizioni senza capire” spiega. “Prima di un intervento o della terapia, spiegavo che avrei avuto momenti difficili, ma che tutto sarebbe passato. Così loro erano sempre al corrente di quello che accadeva con Herbert, questo è il nome che insieme abbiamo dato al mio tumore al seno. In questo modo, penso di averli protetti, per quanto possibile, perché il trauma lo hanno subito comunque”.

“Devo vivere e non posso lasciare che i pensieri negativi mi rubino ciò che ho. Preoccuparmi oggi mentre sto bene, non mi farà stare meglio domani. Se poi domani succederà, allora ci penserò”.

Lo sconforto durante le terapie oncologiche

Parlare con lo psicologo mi ha fatto bene” dichiara Clarissa. “Con un terapeuta ti puoi permettere una libertà che non ti concedi con i familiari, per un senso di protezione nei loro confronti. Anche se ammetto di avere approfittato dei miei genitori durante la malattia. Ho pianto tanto e ho avuto sfoghi molto importanti. Però avevo bisogno di farlo, perché la chemioterapia oltre a distruggerti fisicamente, tocca corde emotive e psicologiche profonde e ti trascina in uno stato di depressione”.

Nei momenti più cupi, Clarissa arriva a pensare di interrompere le cure che non riesce più a sopportare. “Sentivo che mi mancava la forza vitale. Ricordo di un giorno che mi prudeva la testa. Il cervello trasmetteva l’impulso di alzare il braccio per grattarmi, eppure non riuscivo a farlo. C’era una disconnessione totale tra mente e corpo. Mi dicevo che non avrei resistito ad altro. Poi il pensiero dei miei bambini mi ha dato la forza di continuare”.

Avere il tumore al seno e sentirsi in colpa

“Per fortuna, in tutto questo periodo traumatico i bambini hanno ricevuto sempre tanto amore anche dai nonni, che li hanno accuditi proprio come avrei fatto io”  racconta Clarissa. Come mamma di due figli piccoli a cui pensare, vive il periodo della chemio con forti sensi di colpa nei confronti di tutta la famiglia. “Non si è mai pronti a una malattia come un tumore al seno invasivo. Nella mia famiglia nessuno ha avuto questo problema prima di me. Trovarsi di fronte a una malattia oncologica di cui si parla poco, dover gestire malesseri di cui non conosci la portata è difficile. Avere portato questo dispiacere nella mia famiglia mi ha scatenato forti sensi di colpa. Non volevo che mi vedessero stare male, mi sentivo un peso e una preoccupazione perché immaginavo le loro difficoltà” racconta.

Il supporto di un uomo straordinario accanto

“Egoisticamente, sono molto felice e grata di avere avuto accanto tutti loro. Il mio compagno è stato un padre presente oltre che un supporto insostituibile per me”. Priva di forze, con la pelle spenta e senza più capelli, Clarissa non può essere la mamma di sempre per i suoi bambini. Il compagno si conferma una presenza fondamentale.

“Ha una sua attività e quindi poche possibilità di ritagliarsi del tempo per colmare il vuoto lasciato da me. Eppure è riuscito a fare tutto. Anche per lui è stata dura, in una maniera diversa che io non so immaginare, come lui e i miei genitori non potranno mai capire davvero quello che ho provato io”. Perché il tumore semina vittime su due fronti: colpisce il malato e le persone amate, i caregiver che vivono l’altra faccia della stessa medaglia.

“Però, so dirti che quando al telefono gli ho confermato di avere un tumore al seno, lui è scoppiato a piangere. Gli ho chiesto di non farlo, perché avevo bisogno che fosse forte abbastanza da fornirmi il sostegno necessario. Oggi, penso che se gli avessero insegnato come comportarsi in una situazione del genere, non avrebbe potuto essere più bravo. In ogni frangente, ha sempre saputo qual era il modo migliore per gestire tutto, come se ci fosse già passato. Con i bambini è stato un padre fenomenale. Si mostrava solare e felice, per trasmettere ai nostri figli serenità”. Se sei mamma, è un sollievo poter contare su un compagno che è anche un padre attento. Clarissa sa di essere una donna fortunata perché in questi frangenti spesso il rapporto di coppia subisce fratture profonde.

“In queste situazioni scopri una forza inaspettata. I miei genitori lo hanno dimostrato, ma forse quando hai un figlio è una reazione innata. Per l’uomo che ti sta accanto non è istintivo sapere cosa dire, come comportarsi, cosa fare. Lui è sempre stato padrone della situazione. Non ha mai dato segni di cedimento. A volte mi ha portata in bagno in braccio, perché io non riuscivo neanche a camminare. Lui c’era, c’era sempre”. L’ammirazione, la stima, la gratitudine e l’orgoglio che traspaiono dalle parole di Clarissa sono più commoventi di una dichiarazione d’amore .

Il test genetico per il BRCA

Durante i cicli di chemio, i medici decidono di sottoporre Clarissa anche al test genetico per le mutazioni BRCA. “Ci sono andata a cuor leggero, perché supponevo che i test genetici con il tumore al seno fossero la prassi. In famiglia non ci sono precedenti noti, quindi non mi preoccupavo affatto di un rischio di mutazioni genetiche. Invece, quando mi hanno dato il risultato, è stato uno shock scoprire che ero portatrice di una mutazione BRCA2. Il chirurgo mi ha spiegato che con la mutazione BRCA aumenta il rischio di tumore al seno e alle ovaie. Inoltre, mi ha avvertito dei maggiori rischi di cancro della pelle e del tumore del pancreas rispetto a chi non è portatore di mutazione dei geni BRCA”.

La rivelazione colpisce Clarissa con l’intensità di un ceffone in pieno volto. Quando pensava di essersi preparata a un percorso difficile, la notizia della mutazione BRCA2 rimescola le carte. All’apprensione per le eventuali ripercussioni sul percorso di cura della malattia che la diagnosi comporta, si aggiunge la preoccupazione di avere trasmesso ai figli questa eredità.

“Ho pianto, e poi ho guardato il bicchiere mezzo pieno: rispetto ad altre donne io ho la fortuna di avere già i miei figli. Quindi avrei affrontato quello che mi aspettava”. Clarissa è di natura reattiva, talmente determinata a trovare una soluzione da risultare quasi impulsiva. Ha imparato a versare le lacrime per liberare le emozioni, così da conquistare la lucidità necessaria per elaborare e decidere il da farsi.

Camminare per placare i dolori

Quando comincia i cicli di chemio bianca, Clarissa riprende in mano la sua vita poco alla volta. “Anche se ogni due giorni dovevo andare in ospedale per infusioni o controlli, riuscivo a uscire di casa e a portare a scuola i bambini. Io non amo piangermi addosso e appena ho avuto un minimo di energie, mi sono data da fare. Devi sforzarti, ma è necessario. Magari il giorno della chemio tornavo a casa a riposare, però il successivo cercavo di riappropriarmi della routine. Questo ha reso la terapia più tollerabile”.

Si sforza anche di fare attività fisica: lei che non ha un’indole sportiva comincia a fare lunghe passeggiate. “Camminavo per 7 km al giorno, mi faceva bene alla mente e al corpo. Era l’unico modo per attenuare il dolore alle ossa e per vincere la stitichezza: due problemi ereditati dalle terapie”.

La mastectomia diventa bilaterale

A marzo 2024 la Tac rivela che la massa tumorale si è ridotta notevolmente, la terapia ha funzionato e si può fissare la data dell’intervento al seno. I seni da operare, però, sono diventati due. Non c’è più solo la mammella con il carcinoma duttale invasivo, perché adesso con l’esito del test genetico del BRCA si profilano altre necessità, una mastectomia è insufficiente.  “Essendo mutata, i medici mi prospettano la mastectomia bilaterale, ovvero l’asportazione di entrambi i seni, associata alla mastoplastica additiva. Non ero spaventata, anzi non vedevo l’ora di farle l’intervento di mastectomia con la ricostruzione. Sono scesa in sala operatoria felice di percepire il traguardo avvicinarsi, non mi importava di altre implicazioni”.

L’intervento è lungo: dura cinque ore. “Sì, cinque ore durante le quali oltre all’intervento di mastoplastica e alla mastectomia bilaterale mi tolgono ben 18 linfonodi da un braccio”. Il decorso post operatorio è stato lento e doloroso, perché Clarissa ha avuto tre drenaggi per due settimane e una sofferenza difficile da immaginare. “È passato un mese prima che cominciassi a riprendermi dai dolori provocati dallo svuotamento ascellare e di entrambi i seni. Successivamente ho dovuto seguire mesi di fisioterapia per riacquistare la mobilità del braccio”.

Le difficoltà dopo la mastectomia bilaterale

“Quando sono tornata a casa intubata e bloccata, tanto che non riuscivo ad alzarmi dal letto, i bambini erano terrorizzati. Non li avevo preparati adeguatamente. Però nemmeno io ero stata informata su quello che comporta una ricostruzione del seno dopo la mastectomia bilaterale con l’asportazione dei linfonodi”.

Insieme alla famiglia, Clarissa deve trasferirsi dai genitori, perché è impossibilitata nei movimenti, non può occuparsi dei figli e nemmeno guidare. “Mi hanno dimesso il giorno dopo l’operazione, solo che bisogna andare in ospedale tutti i giorni per le medicazioni. Io ho la fortuna di essere a cinque minuti di auto, però chi viene da lontano come fa? Molti ospedali sono al collasso, non hanno personale medico a sufficienza, né disponibilità di letti. Quindi, se le analisi risultano buone e l’intervento è andato bene, come nel mio caso, ti dimettono anche se devi continuare a spostarti per le medicazioni. Ma, con quell’armamentario addosso e i dolori intensi, non è semplice”.

Proteggersi dal linfedema legato al tumore

Clarissa scopre casualmente dall’infermiera che le fa i drenaggi che l’asportazione di una grande quantità di linfonodi è correlata al rischio di sviluppare il linfedema. Viene a sapere che su quel braccio non dovrà fare somministrazioni di chemio, e che sarà necessario adottare cautela nei movimenti, evitando di caricare pesi. Serve un percorso di riabilitazione apposita.

Quello della mancanza di informazioni è una seccatura che si ripresenta in diverse occasioni del percorso di cura. “Certo, perché a tappe alterne è successo continuamente. Nessuno mi ha parlato di cos’è un linfedema né, per esempio, mi ha dato indicazioni precise sull’alimentazione da seguire, che è un fattore importante nella cura di un tumore. Il dottore ti dice, mangia bene! Ma in concreto che cosa vuol dire? Purtroppo, i medici negli ospedali sono pochi rispetto ai pazienti e quindi il tempo da dedicare a ciascun malato è sempre meno. Non è colpa loro, è un problema più ampio che riguarda il Sistema Sanitario”.

Cambiare abitudini a tavola con una dieta oncologica

Clarissa si informa sul legame tra alimentazione e cancro e si fa seguire da un nutrizionista, anche perché a causa del tumore al seno ha perso diversi chili. “Per favorire la guarigione dal  cancro credo sia fondamentale adottare un’alimentazione adeguata. In ospedale dovrebbero fornire un programma adeguato, con le indicazioni precise su cosa mangiare e cosa no. Cambiare le proprie abitudini a tavola è necessario, difficile ma si deve fare con l’aiuto di un esperto. Io amavo i dolci, oggi io lo zucchero non lo prendo neanche per sbaglio. Cerco anche di fare più attività fisica. Tutto questo, però, te lo dovrebbero dire nelle Breast Unit”. Cosa che purtroppo, a parte nei centri di eccellenza per le cure oncologiche, accade ancora di rado.

La libertà di piangere e di soffrire

L’intervento è riuscito, come dimostrano gli esiti della Tac e di una Pet di controllo. Quindi si passa alla radioterapia: 15 cicli. “A parte la pelle un po’ secca, non ho avuto nessun effetto collaterale. Infatti, ero al mare con i bambini, e la mattina andavo tranquillamente a Roma per la radioterapia e poi tornavo appena finito”. Questo periodo le dà un po’ di tregua sia sul fronte degli effetti collaterali, che emotivamente.

“Ho vissuto il percorso affrontando le emozioni giorno per giorno. Non ho mai soppresso niente, nemmeno nei mesi più bui tra diagnosi del tumore e fine della chemio. Ho imparato a parlarmi e ascoltarmi, e mi è servito. I momenti neri li vivo tutt’ora, ma ho una maggiore serenità”.

Se le chiedi qual è il suo segreto, come è riuscita a raggiungere l’equilibrio che le permette di navigare in mezzo alla tempesta, ti risponde sorridendo: “Ho capito che è necessario liberare i demoni interiori e dare sfogo alle emozioni. Ci sono giorni in cui mi accorgo di voler smettere di pensare e allora mi occupo di tante cose. Mi concedo questo senso di libertà. Dopo la boccata di ossigeno, so di dove affrontare quello da cui cerco di sfuggire e che mi porto dentro. Lo faccio e mi domando: come stai? Come va? Parlo, con me stessa e mi regalo il diritto di piangere. Ho versato fiumi di lacrime e mi sono sentita tanto più potente”.

Avere un cancro ti cambia profondamente

Clarissa impara a dare un nuovo valore alla vita e agli aspetti che dava per scontati. “Quando tocchi la morte, perché è quello che accade con un tumore, cambi il modo di approcciarti alla vita. Ti rendi conto di essere impotente, nelle mani di Dio. Ti accorgi che sprechi attimi preziosi per correre sempre e tanto. Ma verso dove? Per cosa? Così ho realizzato che, senza volerlo, perdevo di vista ciò che è importante. Finivo per darlo per scontato”.

Mentre sta male e cura il suo carcinoma duttale invasivo, Clarissa sente la mancanza delle piccole cose, la quotidianità apparentemente banale diventa un bene prezioso. “Oggi vivo in modo diverso, sono un’altra persona. Voglio assaporare ogni istante, essere presente con tutta me stessa perché domani potrebbe essere l’ultimo giorno. Nessuno di noi sa quando accadrà, ma finché non ti senti vulnerabile, come quando scopri di avere il cancro, non ci pensi.

Non voglio più essere quella sempre di corsa. Non voglio più rispondere a mio figlio che vuole giocare insieme, di aspettare perché prima devo sistemare l’armadio. Sembrano cosa da nulla, finché ti accorgi che la frenesia della vita ti ruba momenti e obiettivi importanti. Adesso non concedo spazio a discussioni inutili, lascio perdere le sciocchezze. Facendo un grande lavoro su me stessa, ho cambiato modo di vivere”.

Terapia con l’abemaciclib e asportazione delle ovaie

Per scongiurare il rischio di recidive, Clarissa oggi prosegue la terapia con l’abemaciclib, cominciata a luglio del 2024, un anno dopo la diagnosi. “La dottoressa mi ha prescritto questo farmaco utilizzato nei tumori metastatici perché rallenta il decorso della malattia. Associato alla terapia ormonale che sto seguendo, riduce il rischio di recidiva” spiega. “Inizialmente il dosaggio dell’abemaciclib era molto forte per me, gli effetti collaterali sull’intestino e la stanchezza erano eccessivi. Riducendo la quantità è diventato più tollerabile. Questo, però, implica analisi mensili per controllare i valori. Infatti, la terapia può avere ripercussioni sul fegato e sulla riduzione dei globuli bianchi. Io sono ancora immunodepressa, perché dalla chemio i globuli bianchi non sono mai tornati a livelli nella norma.

Il momento della annessiectomia bilaterale laparoscopica

A settembre 2024 Clarissa si è sottoposta anche all’intervento di annessiectomia bilaterale – ovvero l’asportazione di ovaie e tube – considerata la migliore prevenzione dal tumore ovarico nei casi di mutazione dei geni BRCA.

“L’intervento fatto in laparoscopia mi ha permesso di tornare subito a casa e il decorso post operatorio è stato accettabile: il fastidio maggiore è causato dall’aria di cui ti riempiono e che ci metti del tempo da espellere. Ma ero contenta di liberarmi di ovaie e tube che ormai consideravo mie nemiche perché, a causa della mutazione BRCA, erano a maggiore rischio di tumore”.

Clarissa ha già due figli e affronta con tranquillità un intervento che per molte donne risulta drammatico perché impedisce la possibilità di procreare, a meno di agire preventivamente con la crioconservazione degli gli ovuli o di ricorrere alla fecondazione eterologa con ovodonazione. ”In realtà, questa situazione mi ha toccato. Perché non è facile accettare, a 32 anni, di non poter più mettere al mondo figli. Anche se non ne hai in programma, è un qualcosa con cui fai i conti. Non ho avuto crolli, sia chiaro, ma mi sono detta che forse avrei potuto congelare gli ovuli, per ogni eventualità”.

L’assenza di ormoni si fa sentire inaspettata

La chirurgia profilattica porta a galla alcuni fastidi della menopausa indotta che la terapia ormonale non aveva risvegliato. “Ho iniziato a sentirmi realmente in menopausa. Sto imparando a convivere con caldane e sbalzi di umore, i crolli emotivi e i momenti di nervosismo. All’inizio avevo scoppi di rabbia eccessivi e incomprensibili, perché non fanno parte del mio carattere. Me ne stupivo io per prima, nessuno mi aveva spiegato che gli accessi di ira fanno parte del pacchetto. Il mio compagno sgranava gli occhi quando mi vedeva esplodere con i bambini, per esempio, a causa di una sciocchezza. Poi ho capito che capita con la mancanza degli ormoni. Adesso, quando mi sento nervosa, faccio attenzione e cerco di gestire la situazione, prevenire, controllarmi o allontanarmi”.

Clarissa spiega che non c’è stato nessun medico del team che l’abbia preparata alle trasformazioni a cui stava andando incontro. “La questione è che ti trovi da sola, in balia di tanti eventi diversi e non sai distinguere ciò che normale da ciò che non lo è”. Cercare un confronto con chi sta passando o ha già vissuto le tue difficoltà è l’unica via di uscita, soprattutto se non puoi permetterti di farti seguire privatamente da un medico che ha tempo per te. “Ci sono troppe lacune importanti, per esempio quando si parla degli effetti della menopausa, ti avvisano principalmente delle ripercussioni alle ossa con l’osteoporosi. Il resto lo scopri strada facendo, sperando di essere forte abbastanza per capire e reagire di conseguenza”.

La paura che il tumore ritorni

Nell’immediato futuro di Clarissa c’è l’appuntamento con la visita di controllo e la TAC per monitorare la situazione. A mano a mano che i giorni si avvicinano, la tensione cresce. ”La paura del tumore che torna a farsi vivo mi crea inquietudine. Anche se sto discretamente bene, la testa lavora e i pensieri volano. Cerco di contenerli per evitare che il terrore possa risucchiarmi. Oggi il carcinoma duttale invasivo o infiltrante è uno dei tumori al seno più diffusi e anche più tra i più curabili, ma adesso io il seno non ce l’ho più. Se il cancro si ripresentasse potrebbe colpire un altro organo, dove le probabilità di guarigione non sono altrettanto elevate. Queste paure ti accompagnano anche se non le manifesti. Le persone mi vedono come una guerriera, forte e determinata. Però nella realtà, ogni sera quando mi metto a letto il mio pensiero va sempre lì”.

Per non essere sopraffatta dall’ansia che la insegue, Clarissa cerca di razionalizzare. “Purtroppo, io non ho alcun potere e devo accettare che le cose vadano come devono. Quindi dirigo i miei pensieri verso le esperienze positive di che ce l’ha fatta, che sono vive dopo tanti anni perché si curano e ottengono risultati. Così mi dico: Ce la stai mettendo tutta affinché le cose vadano per il meglio. A quel punto torno a concentrarmi sul qui e ora”.

Noi auguriamo a Clarissa di continuare a vivere un’infinita sequenza di qui e ora, con la determinazione, l’ironia, la saggezza che l’hanno sostenuta fino a oggi e con la meravigliosa famiglia che le sta accanto.

In bocca al lupo Clarissa!

Mara Locatelli

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