Angela: nata due volte, nonostante il tumore al seno metastatico
Un cancro che si manifesta sotto tante sembianze diverse – perché è così che fa il tumore al seno metastatico – ma che non può fermare la nascita dell’amore più grande: un figlio inaspettato. Angela ci racconta la storia di una dolorosa mancanza di amore che la rende fragile di fronte al tumore che avanza. Che mostra come, anche in un corpo che lotta contro la morte, si può rinascere ogni giorno più belli e luminosi. La testimonianza di Angela, che convive con il tumore al seno metastatico, è un esempio di resilienza, amore e coraggio
- Home
- Cancer confidential
- Tumore metastatico: la storia di Angela
Angela è una donna che affronta la malattia oncologica con una forza e una consapevolezza che emergono prepotentemente dal racconto della sua vita. Il suo percorso è segnato dal tumore.
Riceve la sua prima diagnosi a 35 anni, quando era reduce dalla perdita del padre, anche lui vittima del cancro. Ricorda perfettamente il momento in cui tutto è iniziato, con un misto di lucidità e amarezza. “Era il 1998, avevo 35 anni ed era da poco mancato mio padre per un cancro ai polmoni. Lui era un grande fumatore, così come i miei nonni…”.
La prima diagnosi di cancro
La scoperta della neoplasia avviene in modo fortuito. “Ero a una normale visita di controllo, quando il mio ginecologo, che mi conosceva da anni, ha notato un gonfiore all’inguine sinistro. Sembrava un’ernia, ma la consistenza non lo convinceva. Mi ha subito consigliato di fare un’ecografia”.
Quello che sembra un disturbo banale si trasforma in qualcosa di molto più serio. “Ricordo ancora il momento in cui il radiologo, durante l’ecografia, mi ha guardato e mi ha consigliato di vedere un chirurgo”. Le successive visite confermano i suoi timori: “Il chirurgo mi disse che era un liposarcoma, una termine che non conoscevo ma che non sembrava promettere nulla di buono”.
Nonostante lo shock iniziale, Angela cerca di mantenere la calma. “Ero confusa, spaventata. I medici mi fissarono un appuntamento al Memorial Hospital Sloan-Kettering di New York, dove la ricerca sui sarcomi era molto avanzata”. Quando Angela parte per gli Stati Uniti, con i vetrini dei campioni istologici in valigia, sono passati già quattro mesi dall’intervento. “Dopo una settimana di consulti, i medici mi dissero che non dovevo fare nulla. L’intervento era stato, per fortuna, ‘radicale’ e io dovevo continuare a monitorare la situazione con controlli regolari. Ogni tre mesi avrei dovuto fare una risonanza magnetica, soprattutto al torace e agli organi addominali. Mi sentivo sollevata da un lato, ma dall’altro ero piena di incertezze”.
Diventare madre contro ogni previsione
Per Angela diventare mamma a 38 anni è una benedizione inaspettata, dopo anni di problemi di salute che avevano rivelato una ridotta fertilità. “Ho sempre sofferto di una sindrome da ovaio policistico e non pensavo alla maternità. Mio figlio ha segnato la mia nascita vera e propria” ammette, con l’emozione che le illumina il volto.
L’arrivo del figlio coincide con una pausa nei controlli: “Durante la gravidanza, smisi di fare esami, non potevo sottopormi a risonanze o raggi X. Ero un po’ inconsapevole del significato reale della maternità e della responsabilità di mettere al mondo un bambino, ma ero molto felice. Però in un angolo della mente c’era la consapevolezza di una minaccia in agguato”.
Angela racconta con trasporto la nascita del figlio, un evento che ha trasformato la sua percezione di sé e del mondo. “Lui mi ha insegnato cosa vuol dire amare totalmente in maniera incondizionata. Mia madre, nella sua distanza e freddezza, non mi aveva mai trasmesso questo amore profondo, questo legame viscerale. Quando ho visto mio figlio, è stato come nascere insieme a lui”. Angela si sente viva, piena di significato e pronta a vivere davvero. “Lui mi ha donato la mia vera identità di madre e di donna che non avrebbe mai creduto di essere all’altezza di un simile amore, né di meritarlo”.
Il cancro ritorna: è un carcinoma mammario
Ma dieci anni dopo la nascita di suo figlio, Angela si trova davanti a una nuova diagnosi oncologica, la seconda diretta e aggressiva che affronta nel 2011: il carcinoma mammario. Quella seconda diagnosi la colpisce come un fulmine. “Quando ricevi la prima, affronti tutto con una sorta di inconsapevolezza, non sai cosa aspettarti. Ma la seconda volta è più dura. Mi operarono a settembre 2011 e quando mi svegliai dall’anestesia mi dissero che con la mastectomia totale avevano tolto anche 19 linfonodi, di cui i primi tre erano già metastatici”.
Angela affronta le sfide senza mai perdere di vista l’importanza di continuare ad attingere la forza che ha scoperto di possedere. Quello che l’aspetta è la ripresa lenta dopo l’intervento, il braccio dolorante, la fisioterapia, la trasformazione del proprio corpo che stenta a riconoscere. “Iniziai subito la chemioterapia, quella rossa, che molti temono per i suoi effetti collaterali. Mi sentii avvelenata dal primo istante, avevo febbre e forte nausea”.
I quattro cicli di terapia previsti vengono interrotti prima del tempo, a causa di una epatite iatrogena. “Le mie transaminasi presero il volo, rischiavo il trapianto del fegato. Passai quindi alla ormonoterapia. Negli anni successivi ho poi cambiato diverse terapie, non potendo più proseguire con la chemioterapia”.
I momenti di sofferenza e incertezza non le tolgono la determinazione, ma segnano la sua esistenza. Angela ricorda ogni dettaglio con una forza che nasce dalla consapevolezza di ciò che ha attraversato: “Ogni giorno di vita, anche il più doloroso, è una conquista. Ho imparato a essere grata per tutto, anche per questa malattia, perché mi ha permesso di vedere la vita da un’altra prospettiva”.
La maternità è stata una fonte inesauribile di forza e amore, un faro luminoso in mezzo alla tempesta della malattia che Angela ha vissuto. “Mio figlio ha segnato la mia vera nascita. La sua vita ha dato senso alla mia, mi ha rivelato una parte di me che non conoscevo e che non avevo mai sperimentato prima. Lui è la mia benedizione”.
Come dire a un figlio che la mamma ha il cancro
Il figlio è il motivo per continuare a lottare, per trovare la forza di andare avanti nei momenti più duri della malattia. “Quando mi hanno diagnosticato il tumore al seno, lui aveva quasi dieci anni. Non sapevo come spiegargli quello che mi stava succedendo e decisi di aspettare l’inizio della chemioterapia”. Angela sceglie, quindi, di sottoporsi all’intervento e solo successivamente di affrontare l’argomento con suo figlio.
“Il giorno in cui gli raccontai cosa stava accadendo lo ricordo bene. Mi ero consigliata con uno psicoterapeuta, che mi disse che i bambini devono sapere, perché altrimenti possono immaginare scenari ancora peggiori. Fu un momento difficile e sofferto. Gli spiegai tutto, con parole semplici e un tono rassicurante. Io non diedi un nome alla mia malattia, invece lui mi guardò e semplicemente mi disse: Mamma, allora hai il cancro”.
Angela parla del figlio come di una presenza salvifica. Il figlio rappresenta quell’amore puro e totale che lei non ha avuto nella sua infanzia, un amore che la sua famiglia d’origine non è mai riuscita a trasmettere. Un amore che la guida in tutto il percorso oncologico.
Quanto pesa l’assenza di un caregiver
La sua visione della malattia si intreccia inevitabilmente con le sue relazioni familiari, spesso carenti sul piano affettivo. Cresciuta in una famiglia con genitori distanti e anaffettivi, Angela ritiene che la sua sofferenza psico emotiva abbia contribuito alla sua fragilità fisica. In questo quadro già complesso, si inserisce il compagno, un uomo che lei stessa definisce immaturo e incapace di fornirle il supporto emotivo di cui avrebbe avuto bisogno.
Come se il cancro non fosse già un peso insopportabile, Angela deve affrontare un altro trauma personale: la fine del suo matrimonio. “Nel 2019, mi sono separata da mio marito. Avevamo problemi da tempo, ma la malattia ha messo tutto sotto una luce cruda e impietosa. Lui era assente, non mi ha mai accompagnato a una visita, a una seduta di radioterapia. Ero sola. Sì, c’era il giorno della mia operazione, ma poi… il nulla”.
Angela parla del suo matrimonio con amarezza e consapevolezza profonda. “Non è facile accettare che la persona che ami non ti sia vicina nel momento in cui ne hai più bisogno. Guardandomi indietro, capisco di aver scelto un compagno che riproponeva lo schema della mia famiglia d’origine e quella stessa mancanza di affetto e calore che avevo vissuto da bambina. Io cercavo di risolvere quel vuoto attraverso di lui, invece mi sono ritrovata sola, proprio come quando ero bambina”.
La fine del matrimonio le infligge un nuovo colpo. “Lui si è trovato un’altra donna, più giovane e sana. Una donna fertile, mentre io ero stata prosciugata dalla malattia, dall’induzione in menopausa precoce e dalle cicatrici fisiche e dell’anima. Mi sono sentita come una bambola scartata, una cosa vecchia e inutile”.
L’assenza di un sostegno affettivo, della presenza di un caregiver che ti sta vicino con amore ed empatia, rende il percorso oncologico ancora più faticoso. Angela non solo deve fare i conti con le cicatrici lasciate dagli interventi e dagli effetti collaterali delle terapie, ma anche con il senso di abbandono da parte di chi avrebbe dovuto esserle vicino.
Il tumore al seno arriva allo stadio metastatico
Nel 2021, il viaggio di Angela attraverso la malattia subisce un’altra svolta: la metastasi al polmone segna il passaggio al quarto stadio del tumore al seno.
Negli anni, lei ha imparato a riconoscere i segnali del suo corpo. “Sentivo che qualcosa non andava. Avevo difficoltà a respirare e la fatica sembrava aumentare giorno dopo giorno. Continuavo a dire ai medici che non mi sentivo bene, ma le risposte erano sempre rassicuranti”. Non si preoccupi, è tutto sotto controllo, le ripetono i medici. Però Angela non riesce a tranquillizzarsi. Ha la certezza di qualcosa che le sfugge.
“Mi avevano fatto una PET l’ultima volta nel 2014, quando avevo avuto una recidiva: un linfonodo sovraclaveare curato con 28 giorni di radioterapia. Da allora, nessuno mi aveva più prescritto un esame così approfondito, e mi fidavo dei protocolli. Tuttavia, nel 2021, il marcatore tumorale CEA inizia a salire. Mi sembrava anomalo visto che non era mai accaduto in precedenza”. Angela insiste finché non ottiene un controllo più approfondito con una nuova PET total body. L’esito dell’esame conferma i suoi peggiori timori: un nodulo nel polmone destro.
“Il medico mi disse che si trattava di una metastasi polmonare, una malattia oligometastatica, ovvero con un numero limitato di metastasi. Però, era la conferma che il cancro non si era mai fermato”. A breve, infatti, un altro esame rivelerà anche un nodulo al fegato.
“Dopo dieci anni di terapie ininterrotte – chemioterapia, radioterapia, interventi chirurgici – il mio corpo ha iniziato a cedere. Lo stadio metastatico è l’ultimo, quello senza ritorno, perché mostra la diffusione delle cellule neoplastiche nell’organismo. Sapevo di cosa si trattava, ma non si è mai veramente pronti ad affrontare questa realtà”.
La paura della morte si supera affrontandola
La solitudine provata da Angela durante il suo percorso è palpabile e dolorosa, ma è quella che le ha permesso di scoprire una forza interiore che non sapeva di avere.
“Penso che il cancro trovi terreno fertile in chi non ha avuto la fortuna di sperimentare cosa significhi essere amati o essere visti, in chi non ha avuto la possibilità di conoscere la grammatica degli affetti. Quantomeno la mia storia lo dimostra”, racconta con lucidità Angela. “Ho affrontato tutto da sola, e alla fine, ho capito che va bene così. La mia energia è limitata e nei momenti di crisi ho bisogno di usare tutta la mia forza per me stessa. Quando hai accanto una persona, senti la responsabilità di proteggerla, di non farla soffrire. Invece, da sola posso concentrarmi completamente sulla mia lotta”.
Angela ha perso tanti amici per strada, ha avuto grosse delusioni che oggi non vive più nemmeno come tali. “Comprendo le persone che si allontanano perché so che il cancro ancora di più lo stadio della metastasi rappresentano un tabù, qualcosa di cui non si parla e che fa paura. Ci terrorizza parlare della morte, un appuntamento inevitabile per tutti ma che per un malato di cancro sembra un evento più vicino”.
“Io oggi sono convinta che la nostra vita sia semplicemente un passaggio evolutivo, che attraversiamo grazie al dono di questo corpo. Io vorrei vivere 100 anni questo percorso meraviglioso. Vorrei la forza per prolungare questa vita nel miglior modo possibile, come dovremmo fare tutti, cercando di stare bene con noi stessi e con gli altri. Questa vita ci dà la possibilità di evolvere, di comprendere davvero l’importanza e l’enormità dell’esistenza degli esseri umani e di tutto ciò che è vivo su questo piccolissimo, minuscolo pianeta. E io ne sono infinitamente grata”.
Il tumore al seno forma una nuova metastasi al fegato
Angela ha trovato nel suo percorso di malattia una forza interiore che non sapeva di possedere. La diagnosi delle metastasi insieme alla separazione dal marito rappresentano le fasi più buie della vita di Angela.
“Proprio in quei momenti di oscurità ho trovato una connessione profonda con me stessa, con la mia spiritualità. Ho iniziato a praticare yoga con regolarità, acquisendo un equilibrio che mi ha aiutato a non crollare. Ho cominciato a studiare la filosofia induista e ho scoperto un mondo di saggezza che mi ha aiutato a dare un senso a ciò che stava succedendo”.
Nel febbraio del 2024, Angela si è sottoposta a un altro intervento per il nodulo situato nel quarto segmento del fegato, questa volta utilizzando una tecnica meno invasiva: la termoablazione. “Il recupero è stato difficile, il fegato fa male. Tuttora, quando faccio yoga, sento un dolore che mi prende tutta la cintura addominale e la schiena. Ma ogni giorno di vita è un dono. Anche se il corpo è dolorante, anche se mi sento abbandonata da chi dovrebbe starmi vicino, io sono ancora qui e ne sono grata”.
Un giorno dopo l’altro
La malattia ha costretto Angela a rivedere tutto, a riordinare le sue priorità, a trovare forza e consapevolezza dove non pensava di averne. “E sebbene non posso dire di essere felice di ciò che ho passato, confermo di sentirmi grata per ciò che mi ha insegnato. Ogni giorno è una conquista, un dono che ho imparato a vivere con gratitudine, anche quando sembra impossibile”.
Nelle parole di Angela è racchiusa una profonda spiritualità e una comprensione più ampia della vita. La malattia incurabile non è solo una condanna, ma è un’opportunità per riscoprire se stessi e dare un senso più grande all’esistenza. Lei ha imparato ad apprezzare ogni giorno come un’occasione di miglioramento da vivere con gioia, nonostante la consapevolezza della propria mortalità.
“Ogni volta che la malattia si ripresenta, sono costretta a riconsiderare le priorità della mia vita. Ogni volta è come riazzerare il contachilometri, ripartire dall’inizio. Penso alla morte, con lucidità e accettazione. E con paura penso che la mia vita sta per concludersi. Penso a sistemare tutto ciò che potrebbe creare problemi a mio figlio se me ne dovessi andare. Ricalcolo tutto, rimetto tutto in ordine, così, penso, posso andarmene tranquilla, in pace. Sono esausta. E poi ricomincio a vivere, non so mai per quanto ancora, riconquisto terreno e metto un piede davanti all’altro. Come dice Liliana Segre quando racconta la sua “marcia della morte”. Adorerei raggiungere la sua età con quella lucidità di mente.
Mara Locatelli
Unisciti alla nostra Koalizione e iscriviti alla newsletter: Insieme il cancro fa meno paura.
Leggi anche...