Nuove terapie promettenti per il tumore al seno
Anticorpi coniugati, immunoterapia, test diagnostici e alternative alla chirurgia tradizionale: per il tumore al seno le terapie innovative si moltiplicano. E migliora la qualità della vita delle pazienti oltre che l’aspettativa di guarigione. Ti raccontiamo le novità e le promettenti nuove scoperte sul cancro che migliorano le aspettative di guarigione.
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Il cancro al seno rimane una delle patologie oncologiche più diffuse e al centro dell’attenzione della ricerca scientifica. In base ai dati più recenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ogni anno nel mondo sono diagnosticati oltre 2,3 milioni di nuovi casi di tumore al seno, il più frequente tra le donne. Solo in Italia, nel 2023, si sono registrati circa 55.700 nuovi malati, secondo i dati dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM). Ma in base ai calcoli effettuati dall’Associazione internazionale dei Registri tumori, si tratta di una casistica destinata a crescere nei prossimi anni.
Le ultime scoperte su cancro e terapie, più efficaci e meno invasive
La buona notizia è che, nonostante la diffusione del cancro al seno, per fortuna le terapie e l’avanzamento delle tecnologie diagnostiche hanno portato a tassi di sopravvivenza sempre più incoraggianti: a oggi si calcola che circa l’88% delle donne con un carcinoma mammario sopravvive a cinque anni dalla diagnosi.
Il merito va riconosciuto agli anni di ricerca costante e all’introduzione di trattamenti sempre più innovativi e personalizzati. Le terapie tradizionali dei tumori al seno, basate principalmente su chirurgia, chemioterapia e radioterapia, continuano a essere essenziali. Ma la medicina oncologica sta entrando in una nuova era, caratterizzata da approcci terapeutici più mirati e meno invasivi. Per il tumore al seno ci sono nuove terapie avanzate, come i farmaci coniugati e l’immunoterapia, che offrono speranze concrete per migliorare ulteriormente le prospettive di guarigione dal carcinoma mammario e la qualità della vita delle pazienti.
“Oggi abbiamo a disposizione diverse tipologie di terapie in grado combattere la maggior parte dei tumori mammari, anche quelli metastatici, più complessi da trattare”, ha dichiarato il dottor Giampaolo Bianchini, responsabile della Patologia Oncologica della mammella dell’Ospedale San Raffaele. “La ricerca ci permette di migliorare sempre di più le opzioni terapeutiche che possiamo offrire alle nostre pazienti”.
Le cure per il carcinoma alla mammella sono, infatti, in continua evoluzione, con l’obiettivo di fornire trattamenti più precisi, capaci di colpire solo le cellule tumorali e preservare il più possibile i tessuti sani. In questo articolo, scopriamo quali sono le più recenti innovazioni nella cura del tumore al seno, presentate in occasione di importanti congressi scientifici internazionali, come quello dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO), e analizziamo come queste terapie possono cambiare il volto della cura della malattia.
Anticorpi coniugati: il futuro delle cure mirate
Negli ultimi anni, la ricerca oncologica ha compiuto un grande balzo in avanti, puntando su approcci sempre più sofisticati e precisi per contrastare il tumore al seno. Tra le innovazioni promettenti c’è, infatti, l’utilizzo degli anticorpi coniugati, una tecnologia che sta trasformando il modo in cui la medicina affronta la cura di alcuni tumori, tra cui il cancro alla mammella.
Gli anticorpi coniugati sono farmaci composti da un anticorpo, che riconosce i recettori ormonali, associato a molecole di chemioterapico che penetra nella cellula tumorale impedendole di replicarsi. L’azione è come quella di un “proiettile” che trasporta un anticorpo monoclonale e una o più molecole nascoste di farmaci citotossici, che colpiscono con la massima precisione il bersaglio presente sulla superficie delle cellule tumorali: ovvero il recettore.
La metafora del proiettile non è casuale. Pensa alle guerre condotte con armi tradizionali: i bombardamenti, pur essendo efficaci, causano inevitabilmente danni collaterali. Allo stesso modo, le terapie convenzionali, come la chemio tendono ad attaccare non solo le cellule tumorali, ma anche quelle sane, con conseguenze che vanno dalla perdita dei capelli a disturbi più gravi. Gli anticorpi coniugati, invece, sono mirati all’obiettivo perché individuano e colpiscono il bersaglio presente solo sulle cellule cancerose e non su quelle sane.
Trastuzumab deruxtecan: la conferma con nuove prospettive
La nuova frontiera degli anticorpi coniugati è stata al centro dell’attenzione durante l’annuale appuntamento del congresso annuale dell’American Society of Clinical Oncology, a Chicago, dove sono stati presentati diversi studi clinici di grande rilevanza. Le nuove molecole promettono di migliorare la qualità della vita delle pazienti, offrendo trattamenti più mirati e meno invasivi.
Da meno di un anno anche in Italia abbiamo a disposizione il trastuzumab deruxtecan, l’anticorpo coniugato che viene usato nel trattamento del tumore al seno a bassa espressione dei recettori Her2. Ad oggi, infatti, si utilizza il trastuzumab deruxtecan nella cura del tumore al seno metastatico come seconda linea di trattamento dopo la chemioterapia. Ma i risultati dello studio presentato ad Asco, in merito al tumore al seno trattato con terapia a base trastuzumab deruxtecan, preannunciano molto di più.
Durante lo studio DESTINY-Breast06, i ricercatori hanno valutato l’utilizzo dell’anticorpo coniugato nel tumore al seno subito dopo la terapia endocrina, invece di attendere un preliminare trattamento chemioterapico. I risultati sembrano straordinari, come ha commentato Giuseppe Curigliano, direttore della Divisione Sviluppo di Nuovi Farmaci per Terapie Innovative all’IEO di Milano: «Nello studio, le pazienti con tumore della mammella metastatico HR+, HER2-low e HER2-ultralow, trattati con trastuzumab deruxtecan, hanno vissuto più a lungo, senza progressione o peggioramento della malattia rispetto alla chemioterapia standard. Gli esiti dello studio possono essere l’inizio di un cambiamento nel modo di classificare e trattare il carcinoma mammario inoperabile o metastatico ormono-positivo (HR), HER2-low o ultralow, anticipando gli anticorpi coniugati come prima linea di trattamento dopo la terapia ormonale combinata a target therapy”. Una notizia ottima se si pensa che i tumori ormono-positivo (HR) e i tumori al seno HER2-low sono i sottotipi di cancro mammario più frequenti, che raggruppano circa il 70% dei nuovi casi annui.
Tumore al seno triplo negativo: nuove opzioni e strategie
Tra le forme più aggressive e difficili da trattare, il tumore al seno triplo negativo rappresenta una delle sfide più complesse per la medicina moderna. Questa tipologia di cancro non presenta né i recettori per gli estrogeni, né per il progesterone né il recettore HER2. Ciò significa che il tumore al seno è insensibile alle terapie ormonali e ai trattamenti mirati, utilizzati per altre forme di carcinoma mammario. Inoltre, il tumore al seno triplo negativo mostra una marcata propensione a generare metastasi, in particolare a livello polmonare e cerebrale.
Per lungo tempo, la mancanza di bersagli molecolari ha limitato le opzioni terapeutiche, lasciando come unica strada praticabile la chemioterapia convenzionale, con risultati spesso insoddisfacenti e prognosi meno favorevoli rispetto ad altri tipi di tumore.
Negli ultimi anni, però, la ricerca sta aprendo nuove prospettive per la cura del tumore al seno triplo negativo, grazie all’introduzione delle terapie innovative, a cominciare dai farmaci immunoterapici, che mirano a “risvegliare” il sistema immunitario della paziente affinché riconosca e attacchi le cellule tumorali. Gli studi clinici hanno già mostrato risultati incoraggianti in termini di sopravvivenza e controllo della malattia, soprattutto quando l’immunoterapia viene combinata con la chemioterapia tradizionale.
All’appuntamento di Chicago con ASCO, infatti, sono stati presentati i dati del trial A-BRAVE, che ha valutato l’impiego dell’immunoterapia per il trattamento del tumore al seno triplo negativo precoce e ad alto rischio di metastasi. Lo studio ha evidenziato che l’utilizzo di un anticorpo monoclonale, l’avelumab, dopo l’intervento chirurgico può ridurre il rischio di decesso del 34% e lo sviluppo di metastasi cosiddette “a distanza” (ossia in organi lontani dalla sede primaria) del 30%.
Intanto, lo studio Breakfast 2 dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano sta lavorando su alcuni protocolli clinici nutrizionali che potrebbero influenzare positivamente le cure per il tumore al seno triplo negativo in fase precoce.
Riducendo l’apporto delle calorie, in base a un regime alimentare controllato, si innescano cambiamenti nel metabolismo e nell’immunità dell’organismo, che potrebbero avere risvolti positivi in funzione antitumorale.
Lo studio mette a confronto gli effetti di due diete su un gruppo di donne con tumore al seno triplo negativo in stadio precoce, in attesa di trattamento chemioterapici e immunoterapico prima dell’intervento chirurgico.
I regimi alimentari a confronto sono due: uno a base di alimenti di origine vegetale con basso contenuto di carboidrati e proteine, e l’altro è un regime standard equilibrato, con un’ampia varietà di cereali non raffinati. L’obiettivo è quello di dimostrare che è possibile ottenere una rimodulazione favorevole del metabolismo e del sistema immunitario, “potenziando” le cellule immunitarie con attività antitumorale.
Donne con un tumore lobulare: una forma ereditaria
Per poter trovare nuove cure per il cancro al seno è necessario prima approfondire la conoscenza di ogni forma di tumore alla mammella. La novità, in questo caso, riguarda una nuova forma ereditaria di tumore al seno associata al gene CDH1.
“Abbiamo scoperto che la presenza di CDH1 mutato nelle donne sotto i 40 anni predispone allo sviluppo del tumore lobulare del seno, anche più dei geni BRCA 1 e 2. Il rischio di sviluppare anche un tumore gastrico rimane incerto, ma possibile. Il test CDH1 è quindi importantissimo sia per la donna che per i familiari” ha spiegato il dottor Giovanni Corso, chirurgo senologo dell’Istituto Europeo di Oncologia e ricercatore dell’Università Statale di Milano.
Queste gene, già noto per la predisposizione del carcinoma gastrico ereditario, in pratica si lega anche alla variante rara di tumore lobulare, che si presenta prevalentemente nelle donne con età inferiore ai 45 anni alla diagnosi, o con storia familiare positiva per carcinoma mammario, o con un tumore mammario bilaterale.
“Le implicazioni cliniche della nostra scoperta sono importanti perché abbiamo gli strumenti per proteggere le donne che presentano la nuova sindrome di carcinoma mammario lobulare ereditario” afferma il Prof. Paolo Veronesi, coautore dello studio. “Per esempio si può considerare, caso per caso, l’opportunità della mastectomia bilaterale e si consiglia la gastroscopia annuale per il rischio di sviluppare un carcinoma gastrico”.
Crioablazione: alternativa alla chirurgia tradizionale
Tra le nuove armi a disposizione nella cura del tumore al seno, soprattutto nelle fasi iniziali, cresce l’attenzione per la crioablazione. Questa procedura, indicata nelle pazienti con tumori di piccole dimensioni e in stadio precoce, consiste nel distruggere le cellule tumorali attraverso il congelamento, rappresentando una promettente alternativa alla chirurgia tradizionale.
Il principio della crioablazione è tanto semplice quanto affascinante: attraverso l’inserimento di una sonda nel tessuto tumorale, si applica un refrigerante che abbassa la temperatura causando la morte delle cellule cancerose. Il congelamento rapido distrugge le membrane cellulari e induce la necrosi del tumore, lasciando intatti i tessuti sani circostanti. Questo approccio consente di evitare l’asportazione chirurgica del nodulo, riducendo così le cicatrici e accelerando i tempi di recupero delle pazienti.
“Le tecniche percutanee di radiologia interventistica per il tumore del seno, rappresentate soprattutto dalla crioablazione, aprono nuove prospettive. Per curare in modo conservativo sono però necessarie due condizioni: una diagnosi precocissima e strumenti mini invasivi, capaci di cogliere il vantaggio di intercettare un tumore estremamente piccolo. La tecnica della crioablazione è uno di questi strumenti ed è sicuramente fra i più innovativi” ha detto Franco Orsi, Direttore della Radiologia Interventistica IEO.
La crioablazione è stata già ampiamente utilizzata per altri tipi di cancro, come il tumore al fegato e al rene, ma solo recentemente ha iniziato a guadagnare terreno nel trattamento del carcinoma mammario.
Oltre ai vantaggi legati alla minore invasività, un altro aspetto interessante della crioablazione è la possibilità di stimolare una risposta immunitaria antitumorale. Il congelamento delle cellule tumorali può infatti rilasciare antigeni che, in alcuni casi, attivano il sistema immunitario contro eventuali cellule cancerose residue. Questo potenziale effetto “vaccinale” è ancora oggetto di studi, ma apre la strada a nuove ipotesi terapeutiche, soprattutto se combinato con altre strategie, come l’immunoterapia.
Anche tu puoi partecipare allo studio dello IEO
Allo IEO è partito lo studio clinico osservazionale e prospettico PRECICE rivolto a donne dai 50 anni con tumori della mammella di piccole dimensioni (fino a 15 mm di diametro) e a basso rischio.
Le candidate che vogliono partecipare possono scrivere a studio.precice@ieo.it per prenotare una prima visita. Quelle idonee saranno inserite nel percorso terapeutico standard, che può includere radioterapia e chemioterapia adiuvante, se necessarie. Il tumore al seno verrà trattato mediante crioablazione percutanea, in ambulatorio e in anestesia locale, consentendo alle pazienti di tornare a casa il giorno stesso del trattamento, senza cicatrici né necessità di protesi.
Mara Locatelli
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