Il linfoma di Hodgkin: il viaggio inaspettato di Clotilde


I sintomi del linfoma la traggono in inganno, perché Clotilde è una studentessa di medicina con un anno pesante sulle spalle. La vacanza dei sogni la attende e non saranno quei piccoli malesseri a sconvolgerle i piani.
Comincia così la storia di Clotilde, con un linfoma di Hodgkin che la porterà ad esplorare nuovi aspetti di sé

Clotilde ha energia da vendere. Lo percepisci subito, mentre sorride e ti parla della sua storia di paziente oncologica che a soli 22 anni scopre di avere un linfoma di Hodgkin.

I linfomi sono neoplasie ematologiche che vedono la proliferazione delle cellule responsabili dell’efficienza del sistema immunitario. Le cellule si accumulano nei linfonodi, ma anche in altre sedi, come masse o tumefazioni. Esistono diversi tipi di linfomi che appartengono a due categorie principali: linfomi Hodgkin e non Hodgkin.

L’Hodgkin è il linfoma più frequente tra i giovani, soprattutto nella fascia tra 20 e 30 anni. Proprio quello che scopre di avere Clotilde.

Lei è una promettente studentessa della Facoltà di Medicina: mente viva, corpo scattante e una sensibilità artistica che le permette di suonare in una band della sua città, Torino. Eppure, Clotilde, che conosce la materia da vicino, che sa quali sintomi dà un linfoma, non riconosce subito i segnali inviati dal suo corpo. Il percorso di guarigione comincia, infatti, con un viaggio e con l’intuizione inspiegabile di un medico in un Paese mediorientale.

Che sintomi dà un linfoma? A 20 anni non lo sai

Clotilde è una ragazza attiva, curiosa e vitale. Se le chiedi quali sono stati i primi sintomi e come ha scoperto di avere un linfoma ti conduce in un racconto avventuroso con la leggerezza di un ricordo ormai lontano. Che, invece, è storia recente, cominciata solo un anno fa.

Dopo mesi passati tra libri di Medicina ed esami, Clotilde prenota le vacanze estive in Giordania: vuole fare un tour del Paese con un viaggio organizzato. “A parte la dermatite atopica di cui ho sempre sofferto e che, solo successivamente, ho scoperto potesse essere imputata al linfoma, io stavo bene. Tra giugno e luglio, mentre mi preparavo per un esame impegnativo e stressante, ho cominciato a sudare molto la notte: mi svegliavo con le magliette inzuppate. Superato l’esame ho iniziato a rilassarmi. Eppure, giorno dopo giorno, verso sera avevo sempre qualche linea di febbre. Oggi so che è un altro segnale tipico dei tumori in generale, ma un anno fa nemmeno ci pensavo. Credevo che fosse un malessere da poco, un raffreddore, una febbre passeggera, magari stanchezza generale accumulata dopo un anno difficile”. Clotilde non si lascia turbare da così poco e parte per la Giordania. Non sospetta che quelle sudate, la febbre leggera ma insistente, e anche la dermatite siano in realtà sintomi del linfoma che si è già sviluppato nel suo organismo.

Clotilde vuole essere forte, ma il corpo si ribella

Dopo l’anno impegnativo appena trascorso, Clotilde vuole vivere la sua prima vacanza da sola alla scoperta di un nuovo Paese, nuovi orizzonti e una cultura affascinante. Il suo corpo, però, le manda altri segnali e lei accusa inaspettate vertigini.

“Sono molto resistente fisicamente e quindi non ho detto nulla a nessuno. Non volevo pesare o fare preoccupare il gruppo formato da persone che non conoscevo. Ho cercato di tenere botta e di mascherare il disagio dei giramenti di capo che, effettivamente, erano sempre più intensi”.

La voglia di apparire forte e determinata deve cedere il passo, però, a quello che le sta dicendo il corpo. Clotilde non può più fingere.

“Eravamo in una riserva naturale e ci preparavamo per un trekking abbastanza lungo. La mattina della partenza, non mi reggevo in piedi e ho cominciato a vomitare. Senza raccontare niente a nessuno, partecipo ugualmente all’escursione. Ho sempre contato molto sulla mia capacità di autocontrollo e di mascherare. Ma il malessere ha avuto la meglio e il mio corpo ha ceduto: stavo male e ho rimesso ripetutamente, fino a 5 volte nell’arco di un’ora. A quel punto, ci siamo diretti tutti ad Aqaba, la città a sud della Giordania e ultima tappa del viaggio, dove mi hanno ricoverato in ospedale”.

Come ci si accorge di avere un linfoma?

Avendo stipulato una polizza sanitaria per i viaggi all’estero, la copertura assicurativa permette il ricovero di Clotilde in una clinica privata ad Aqaba. Con il senno di poi, questa è una grande fortuna. I medici della clinica hanno, infatti, un’intuizione geniale.

“In clinica, oltre ai normali esami di accertamento, i medici mi fanno una Tac al torace e alla testa. Una scelta assolutamente inaspettata, come poi hanno confermato anche gli specialisti in Italia. Più che altro perché io, parlando bene inglese, avevo chiaramente spiegato delle vertigini e degli altri sintomi. Non avendo disturbi alle vie respiratorie, che potevano essere imputate a infezioni virali o tubercolosi, si pensava che avessi semplicemente un’intossicazione alimentare”.

Non c’è nulla che giustifichi la scelta dei medici, se non l’istinto di seguire un’intuizione fortunata. La TAC al torace evidenzia, infatti, una grossa massa sul polmone. Senza giri di parole, il medico le dice che probabilmente si tratta di un tumore al polmone. Clotilde è perplessa, non tanto per la brutalità della comunicazione, ma per la diagnosi del cancro.

Da studentessa di medicina, fa subito due valutazioni: un tumore al polmone a 20 anni, per una ragazza che non fuma, non ha fattori di rischio né casi simili in famiglia, sembra proprio un’eventualità remota.

“Quello che, invece, ipotizzo io è che sia più probabile un linfoma. Il rientro in Italia viene comunque effettuato con urgenza. A Torino cominciano le indagini per capire di che cosa si tratta. Alla prima visita oncologica i medici, pensando si trattasse di leucemia fulminante che aveva metastatizzato nel sistema nervoso, mi mandano subito all’ospedale San Luigi, dove effettuano tempestivamente l’analisi del liquor”.

Nel giro di due giorni, dopo una TAC con contrasto e altri esami, prende forma la diagnosi di linfoma di Hodgkin, un tumore molto diffuso nella fascia di età tra 20 e 30 anni. Comincia così il ricovero in ospedale, che dura tutto il mese di agosto, e l’iter per capire che tipo di linfoma sia, per classificarlo e per iniziare le cure.

linfoma di hodgkin la testimonianza

“Come ho affrontato il percorso? Tenendomi lontana da paure e tabù. Ci sono tanti modi di vivere la malattia e io ho scelto la strada della consapevolezza, dell’ironia e del sorriso. Quando ho realizzato che non potevo prendere il controllo di quello che accadeva, ho anche capito che potevo agire sulla modalità e la percezione di ciò che i miei cari ed io stavamo vivendo. E l’ho fatto. La gentilezza è stata mia arma e mio sostegno, perché è lo strumento di resilienza più potente che tutti noi abbiamo”

Affrontare un tumore come un linfoma con la razionalità

C’è chi vede crollare il mondo davanti agli occhi quando sente dal medico la diagnosi di tumore, ma per Clotilde è diverso. Essere una studentessa di medicina le fornisce qualche arma in più. Da una parte ha le informazioni basilari per sospettare con cognizione di causa qual è la malattia con cui deve misurarsi. Dall’altra può contare su quel pizzico di cinismo che in Facoltà ha imparato a coltivare insieme ai suoi colleghi, per farsi scudo davanti alle sofferenze altrui.

“Quando mi aspetta un momento difficile, per carattere lo affronto come un ariete e al contempo rassicuro le persone che mi stanno intorno. Quindi, ho cominciato fin da subito a elaborare in maniera razionale sia le informazioni che le possibilità”. Se pensi di avere tutto sotto controllo è più facile, infatti, comunicare sensazioni che tranquillizzano gli amici e parenti.

“In realtà sono una persona ansiosa e, per tenere a bada l’inquietudine, mi tengo sempre in attività. Nel periodo del ricovero, quando ho ricevuto la diagnosi di linfoma cercavo qualsiasi cosa per tenermi occupata, dal corso di fotografia on line ai libri. Leggevo tantissimo proprio per non pensare a quello che mi stava accadendo e che avveniva attorno a me. Distrarre la mente con altri stimoli era utile per evitare di concentrare i pensieri sulla malattia. La notte, per esempio, era difficile dormire. Non avendo come compagni di stanza persone coetanee con cui chiacchierare, ma solo uomini e donne molto anziani, mi sono dedicata allo studio. Ricordo di avere messo anima e corpo nella preparazione di un esame da poco, che avrei dovuto sostenere a settembre. Studiare mi ha aiutato a non pensare e a superare le notti insonni in ospedale. Ogni volta che mi sentivo investita dalle emozioni, per non esserne sopraffatta ho diretto la mia mente su pensieri e attività concrete. C’è chi dice che non sia un sistema sano, ma con me ha funzionato”.

Clotilde non vuole reprimere le sue emozioni, semplicemente sceglie di esercitare un controllo per non venire schiacciata da dubbi, paure, smarrimento. “Questo atteggiamento mi ha tenuto in piedi, e non è stato affatto negativo come molti potrebbero pensare. Ho trovato un meccanismo di difesa che per me ha funzionato perché mi ha aiutato a superare i momenti difficili. Come quando ho dovuto intraprendere il percorso per la preservazione della fertilità”.

La perdita dei capelli per il tumore non la spaventa

“Quando sono uscita all’ospedale sono andata dal parrucchiere e ho donato i capelli. Mi sono detta che li avrei persi comunque, quindi tanto valeva regalarli a chi come me ne aveva bisogno . Arrivavano fino alle scapole, ovvero lunghi abbastanza per la misura di 10-15 cm necessaria per poter donare. Il taglio mi è piaciuto molto e lo tengo ancora adesso. Ho ammirato una nuova versione di Clotilde, perché il corto radicale cambia effettivamente la conformazione del volto. In quel momento, però, ho realizzato che la malattia era una cosa concreta. Quando poi, passandomi la mano nei capelli mi sono rimasti alcuni fili tra le dita, non ciocche come accade a molti, mi sono detta basta e ho rasato la testa a zero. Li avrei persi di lì a poco, non avevo voglia di vederli cadere”.

Concreta, pratica e lucida anche in questo frangente Clotilde non dà spazio alle emozioni negative. Non permette a sintomi ed effetti collaterali della terapia necessaria per curare il linfoma di minare la sua determinazione. Compra una parrucca, come spesso si fa per risolvere il problema dei capelli che cadono con la chemioterapia, ma non le piace. Preferisce indossare i cappellini che meglio si adattano al suo stile e al suo look. E si mostra agli amici in versione rasata, senza veli. Vera, come le piace sottolineare.

Non ho paura di dire che ho il cancro

“Ho tanti amici e quando frequenti la Facoltà di Medicina la cerchia si allarga perché si diventa una grande famiglia. Passiamo sei anni di università insieme, in un mondo che è totalizzante e anche un po’ strano. Non ho mai avuto paura di dire ho il cancro a chi mi conosce e ai miei compagni di università che mi hanno vista senza capelli. Anche da rasata mi sono sentita apprezzata e più vera, con me stessa e agli occhi degli altri”.

Per una persona così diretta e trasparente, comunicare di avere un linfoma non è un problema. “I miei migliori amici l’hanno saputo naturalmente, seguendo l’evoluzione di quello che accadeva fin dai primi sintomi del linfoma, quando in Giordania ancora pensavo fosse una semplice intossicazione. Oltre a mamma e papà, che mi sono sempre stati accanto, vicino a me ho sempre avuto gli amici che sono la mia famiglia, a cominciare dalla mia migliore amica che stava con me in ospedale ogni giorno. Nessuno mi ha mai lasciato sola. Sentirmi amata mi ha aiutato senza dubbio ad affrontare la malattia e mi ha confermato che le persone che ho scelto nella mia vita sono speciali”.

Accettare la propria vulnerabilità manda in crisi Clotilde

“Per certi versi il mese di agosto è stato più semplice, perché la situazione è precipitata rapidamente con il rientro dalla Giordania, il ricovero diretto seguito da analisi e diagnosi. Tutti gli avvenimenti si sono succeduti velocemente senza darmi il tempo di fermarmi a casa e riflettere. Cosa che, invece, è accaduta una volta dimessa. La botta vera l’ho avuta in questa fase”.

Il momento più difficile arriva quando un contrattempo le apre gli occhi sulla sua vulnerabilità. “Dovevo andare a Milano per la laurea del mio migliore amico. Per via della terapia si sono abbassate le difese e ho preso un’infezione. Il corpo mi ha mostrato che la mia vulnerabilità era tale da impedirmi di fare una cosa così semplice e scontata come raggiungere il mio migliore amico a un’ora di treno. In quel momento sono crollata. Tutte le certezze che mi avevano sostenuto, anche quando mi hanno diagnosticato il linfoma di Hodgkin, si sono sgretolate.

L’altro momento difficile è stato quello legato al percorso di crioconservazione che non è andata a buon fine. “Il tema della fertilità è un aspetto importantissimo nella cura del tumore, un argomento sottovalutato di cui si parla poco. E che ci trova impreparati soprattutto quando il cancro colpisce persone giovani, non solo ragazze ma anche ragazzi.”

Congelare gli ovuli per la Clotilde del futuro

La chemioterapia può influire negativamente sulla fertilità, quindi esistono alcuni trattamenti di preservazione della fertilità per uomini e per donne. Quando ti diagnosticano un tumore in età fertile è prassi, infatti, proporre una soluzione per preservare la fertilità prima di dare il via a cure antitumorali che possono comprometterla.

“I medici mi hanno suggerito la crioconservazione che prevede il congelamento degli ovuli da custodire per un periodo rinnovabile su richiesta. Dal San Luigi, dove ero ricoverata ad agosto, sono stata indirizzata al Sant’Anna, l’ospedale ginecologico di riferimento. Avevo appena avuto la diagnosi di linfoma, sarei stata dimessa e nel giro di un paio di settimane avrei cominciato i cicli di chemio per curare il linfoma. Quindi, per sfruttare il tempo a disposizione, hanno programmato subito la visita ginecologica”.

Ma a 22 anni non sei preparata. Associ la parola ‘fertilità’ alla pillola anticoncezionale e sei spaesata davanti all’urgenza di decidere su due piedi della tua futura vita adulta.

“Una ragazza della mia età, generalmente, non sa se ‘da grande’ vorrà essere mamma o fino a che punto vuole davvero vivere la maternità. Io non avevo nessuna amica coetanea con la quale confrontarmi sul tema. Quando mi hanno domandato se volevo congelare gli ovuli, ho chiesto due giorni di pausa per riflettere. Mi ripeto sempre: Non si sa mai che cosa ti succede nella vita. Così, ho pensato che fosse giusto prendermi cura della Clotilde del futuro e intraprendere il percorso per preservare la fertilità”.

Qualcosa va storto

Clotilde non sa esattamente in che cosa consiste il trattamento per congelare gli ovuli. Scopre che il percorso prevede iniezioni sottopelle da fare a casa, ma nessuno le spiega come. Servono controlli giornalieri in ospedale dei livelli ormonali per monitorare l’ovulazione, e la sua routine salta. Ma, ancor prima, c’è l’impatto traumatico con la visita ginecologica. Dal San Luigi, dove è degente, Clotilde viene portata al Sant’Anna. L’ambulatorio sta chiudendo perché l’orario è sbagliato, colpa di errori di comunicazione tra le due strutture sanitarie, però la visita avviene lo stesso.

“Uno dei ricordi più brutti è quella visita ginecologica che mi hanno fatto in fretta e furia con otto medici in sala, tra specializzandi e strutturati. Si tratta di un momento delicato per ogni donna, ed essere circondata da sconosciuti con cui non hai scambiato nemmeno una parola può risultare molto imbarazzante, soprattutto se sei una ragazza giovane”.

Mentre rivive quei momenti, sul viso di Clotilde traspare tutto il disagio provato misto alla delusione per l’occasione persa dei medici di mostrare empatia e attenzione verso il benessere di un malato che si sente in balia degli eventi.

“Purtroppo, l’intervento in day hospital per la conservazione degli ovuli non va a buon fine. Il medico mi dà la notizia con molto garbo e mi propone un nuovo tentativo”. Però non c’è più tempo, Clotilde deve cominciare la chemioterapia per la cura del linfoma.

Sentirsi sole, impotenti e inascoltate

“Ricordo il senso di intima impotenza che ho provato come donna: il mio corpo reso fragile dal linfoma di Hodgkins non era in grado di fare ciò per cui era biologicamente programmato. Parlarne con le amiche non serviva, perché non potevano calarsi nella situazione. Su questi argomenti si confronta solo chi ha vissuto lo stesso dramma. Per fortuna, la mia strada ha incrociato quella di una donna con un percorso simile alle spalle. Mi ha offerto un diverso punto di vista, mi ha fatto sentire compresa in un frangente di profonda solitudine, che non avevo provato durante le fasi della malattia.

Ho avvertito disinteresse, mancanza di attenzione e di empatia anche durante le cure con l’anti progestinico. Serve a mettere il corpo in menopausa così da proteggere ulteriormente le ovaie e l’apparato riproduttivo. Continuavo a ripetere ai medici che gli effetti collaterali erano eccessivi: avevo le caldane tipiche che però si ripetevano sette, otto, dieci volte al giorno. Sudavo in maniera spropositata tanto da compromettere lo svolgimento della mia vita normale e sociale.

Non ho trovato nessuno che mi ascoltasse, ognuno demandava l’ascolto del mio problema ad altri. Credo che la colpa non sia di qualcuno in particolare: è l’atteggiamento profondamente sbagliato. Nessuno mi ha dato retta così come non si ascolta adeguatamente il mondo femminile in generale. Per me, che ho scelto la strada della medicina, vedere che nel campo medico si dà più peso alla visione maschile è stata una delusione”.

Come si cura il linfoma

La terapia per il linfoma di Hodgkin prescritta a Clotilde consiste in cicli di chemioterapia secondo lo schema ABVD, che sta per Adriamicina, Bleomicina, Vinblastina e Dacarbazina, ovvero i farmaci utilizzati. “Questo è il protocollo standard per la terapia del linfoma di Hodgkin, ma la risposta dopo i primi due cicli chemioterapici non è stata soddisfacente. Quindi i medici mi ha proposto il BEACOPP, un trattamento intensificato con diversa combinazione di farmaci che permette un maggiore controllo iniziale del tumore. Ho accettato, anche perché l’alternativa sarebbe stata il trapianto autologo, utilizzato per la cura di molte neoplasie ematologiche, tra cui i linfomi appunto. Per una persona giovane e attiva come me, questa eventualità mi avrebbe messo in difficoltà sia perché mi avrebbe indebolito molto sia perché è una terapia lunga e impegnativa”.

Clotilde non vuole rinunciare a mantenere il più possibile una vita normale fatta di studio, di musica e di amici e quindi accetta i cicli di Beacoop. “L’ho patito, ma non tanto fisicamente perché riuscivo comunque ad allenarmi, suonare e studiare. Il problema è che avevo le difese basse e finivo in ospedale ogni volta per un’infezione diversa. Quindi ho dovuto smettere di uscire per evitare di contrarre infezioni, per tutta la durata della terapia. L’ultimo step della cura per il linfoma è stato la radioterapia, che non mi ha dato alcun fastidio. soprattutto perché la radiazione era molto precisa e circoscritta a livello del polmone destro, una zona delicata perché a contatto con il cuore.

Un grande cuore ha spazio per grandi sogni

Il cuore generoso e aperto sul mondo di Clotilde, nonostante le difficoltà di un percorso oncologico non sempre chiaro per una ventenne, non ne ha risentito. Lo intuisci dal sorriso che illumina di leggerezza le parole di un racconto forte, come può essere la testimonianza della diagnosi di un linfoma di Hodgkin in stadio avanzato. E lo capisci da come ti racconta del suo futuro aperto a tante prospettive. Clotilde forse seguirà la strada di medicina interna, per sottolineare il valore di saper osservare il quadro completo spesso trascurato dai giovani in cerca di specializzazione. O magari ascolterà il richiamo della neuropsichiatria per lavorare con i bambini autistici.

“Il mio sogno è lavorare con persone che hanno bisogno di benessere e non solo di cure. La cura è importante, ma servono anche professionisti capaci di pensare al benessere che è molto più difficile da offrire al paziente”.  Qualunque percorso sceglierà Clotilde, siamo sicuri che la sua attenzione all’ascolto e la sua empatia non si perderanno lungo il cammino della professione medica.

Mara Locatelli

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