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Lisa: “Avevo il tumore all'esofago: la protonterapia mi ha allungato la vita”

La storia di Lisa: dopo una diagnosi di tumore al seno triplo negativo, le cure e la recidiva arriva una nuova botta. Il tumore all’esofago si manifesta inaspettato. Lisa lascia la sua Sardegna e torna a Milano per farsi curare là dove già si sono occupati del suo tumore al seno: allo IEO. La protonterapia può essere la soluzione migliore per ripulire il suo corpo dal carcinoma squamocellulare all’esofago di ben 8 centimetri.

“Nel 2020 mi sono ammalata di tumore al seno, avevo 44 anni”, racconta Lisa con la semplicità disarmante di chi ha imparato a convivere con parole che fanno paura. “Ho fatto le analisi di rito ed è risultato un tumore maligno, il peggiore, il triplo negativo.”
Il tumore al seno triplo negativo rappresenta circa il 15-20% di tutti i tumori mammari ed è considerato il sottotipo più aggressivo. Non può essere trattato con le terapie ormonali o con i farmaci anti-HER2, lasciando come opzioni principali la chemioterapia, la chirurgia e la radioterapia.

“Mi sono accorta del tumore esofageo perché un giorno ho deglutito un pezzettino di frutta ma rimaneva lì incastrato…”

La scoperta del gene mutato

“Quando sono iniziate tutte le indagini, ho scoperto di essere portatrice della mutazione del gene BRCA1” spiega Lisa. “Questa mutazione aumenta il rischio di sviluppare tumori, non solo al seno, ma anche alle ovaie”. Per questo motivo, dopo le classiche chemioterapie rosse e bianche, l’intervento chirurgico e la radioterapia, Lisa deve prendere una decisione difficile ma necessaria: asportare anche le ovaie per prevenzione.

“L’intervento di asportazione di tube e ovaie per me non è stato particolarmente traumatico. Ma riconosco che, per una donna che pensa alla maternità, si innescano ripercussioni importanti e risvolti complicati”. In quei casi è necessaria consapevolezza e il pizzico di fortuna che ti mette a disposizione il tempo per valutare con gli specialisti i trattamenti per preservare la fertilità.

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MBP e mutazione BRCA 1 o 2

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Efficacia della mastectomia bilaterale preventiva

La recidiva rende necessaria la mastectomia bilaterale

Appena 11 mesi dopo il primo intervento, Lisa si accorge che qualcosa non va. “Ho avuto una recidiva in sede cicatriziale, nella cicatrice. Penso a causa della mutazione genetica” ipotizza Lisa, cogliendo nel segno. La recidiva locale, soprattutto in pazienti con mutazione BRCA1 e tumore triplo negativo, non è purtroppo un evento raro.

A questo punto i medici dello IEO di Milano, ospedale di eccellenza nell’oncologia, le propongono una mastectomia bilaterale con ricostruzione tramite protesi. È una scelta radicale ma necessaria per ridurre il rischio di ulteriori recidive. Tuttavia, il percorso si complica: “Purtroppo ho avuto un problema: la radioterapia ha bruciato la mia pelle a tal punto che la dottoressa ha dovuto optare per un’altra strada e utilizzare un lembo dorsale.”

La radioterapia, pur essendo fondamentale per eliminare eventuali cellule tumorali residue, può danneggiare i tessuti circostanti. Nel caso di Lisa, il danno cutaneo è stato così importante da richiedere una tecnica ricostruttiva più complessa. “Ha dovuto prendere un pezzo di lembo da un altro punto del corpo e attaccarlo davanti. Per fortuna l’innesto è andato bene” spiega con sollievo.

Il percorso ricostruttivo è lungo e richiede pazienza. Prima vengono inseriti degli espansori, che Lisa deve far gonfiare settimanalmente presso l’ospedale, fino a raggiungere il volume desiderato. Solo successivamente, in un secondo intervento, vengono inserite le protesi definitive. “Per un paio di anni tutto è filato liscio”, racconta Lisa. Sembrava che il peggio fosse ormai passato. Invece era solo l’inizio di un nuovo, inaspettato capitolo.

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Nuova diagnosi: carcinoma squamocellulare all'esofago

Nel 2024 Lisa inizia ad avere difficoltà a deglutire. “Pensavo fosse un raffreddore o un mal di gola perché ero appena rientrata dall’Irlanda” racconta. “La dottoressa mi prescrive un antibiotico, ma non funziona”.
Il campanello d’allarme suona quando un giorno, mangiando della frutta, un boccone rimane incastrato. “Mi è venuto il panico. Così ho deciso di farmi vedere da uno specialista bravo” spiega Lisa. “Ho deciso di tornare allo IEO, per farmi visitare dal dottor Umberto Fumagalli Romario, Direttore della Divisione di Chirurgia dell’Apparato Digerente”.

Dopo tutte le visite e la biopsia, arriva il verdetto: si tratta di carcinoma squamocellulare all’esofago di 8 centimetri, un tumore di grandi dimensioni. “La diagnosi mi ha lasciato completamente spaesata perché non immaginavo un tumore all’esofago” confessa Lisa. “Anche il dottor Romario non si aspettava una paziente così giovane perché in genere questa patologia colpisce persone anziane“.

Lisa si chiede se sia una conseguenza del tumore al seno. La domanda che le martella in testa è: il tumore esofageo è legato alla mutazione BRCA1? I medici le confermano che si tratta di una neoplasia indipendente dal tumore al seno. Però, ‘i geni sono quelli’, le dicono, e forse esiste una predisposizione più ampia.

“Il medico mi ha detto: ti devi giocare il jolly che ti può salvare la vita.”

La preparazione alle cure e quella domanda difficile

C’è bisogno di chemioterapia prima di qualsiasi altro trattamento. Lisa fa due cicli, ciascuno della durata di quattro giorni. “Si fa con l’elastomero che è una sorta di bottiglia che ti porti a casa; la chemio dura quattro giorni e poi vai a toglierla” spiega, descrivendo il sistema di infusione continua che permette ai pazienti di continuare la chemioterapia a casa.

Il medico le dice qualcosa di importante: dovrà cercare un posto dove fermarsi a Milano, perché il percorso di cura sarà lungo. Per Lisa, profondamente legata alla sua Sardegna è un colpo durissimo. La domanda che le esce in quel momento è ancora più diretta, quasi disarmante nella sua crudezza: “Ma devo morire?”
“Se devi morire non lo so” è la risposta del medico, allo stesso tempo onesta e incoraggiante.” Però, ti posso dire che tutti i miei ex pazienti mi scrivono ancora.”
Ed è quella frase a dare a Lisa la carica per proseguire.

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Protonterapia: l'innovazione salva la vita

“Quando il medico mi ha proposto la protonterapia, ha detto: Ti devi giocare il jolly, questo ti può salvare la vita” racconta Lisa. “Ho accettato senza sapere cosa fosse la protonterapia. Non capivo niente. Ero solo immersa nella confusione.”

La protonterapia è una forma avanzata di radioterapia che utilizza fasci di protoni invece dei tradizionali raggi X. I protoni hanno una caratteristica fisica unica: rilasciano la maggior parte della loro energia in un punto preciso, riducendo il danno ai tessuti sani circostanti. Nel caso di Lisa, con un tumore posizionato tra le corde vocali e l’esofago, la precisione era fondamentale. “In questo modo hanno lasciato l’opzione dell’intervento chirurgico come successiva, nel caso fosse rimasto ancora qualcosa da rimuovere” spiega Lisa.

La protonterapia richiede un grande impegno: 30 sedute quotidiane, ciascuna della durata di circa mezz’ora. “Solo che ho scoperto di dover indossare una maschera e per me che soffro di claustrofobia quello era un ostacolo insormontabile. L’ho provata e mi è venuto il panico perché non mi potevo più muovere.”

“Ho trovato medici e infermieri eccezionali. Si sono presi cura di me e delle mie paure. Io non come ringraziarli”

Davanti alle difficoltà arriva l’aiuto di medici e infermieri

Lisa è sul punto di rinunciare. Ma il team dello IEO non si arrende. “Sono stati molto pazienti e gentili. Hanno capito la mia difficoltà e hanno pensato a una soluzione personalizzata. Così hanno tagliato la maschera per aprirla in maniera che io potessi respirare, anche se respiravo lo stesso, perché era una cosa psicologica.”

Però, ancora questo stratagemma non è sufficiente per placare l’ansia di Lisa. “Volevo abbandonare la protonterapia. Il panico che mi prendeva era più forte della malattia. Mi hanno dovuto sedare ogni volta, perché non riuscivo a indossarla”.

Nelle continue attenzioni dimostrate dal personale sanitario dello IEO emerge la differenza tra una cura tecnica e una cura umana. “Mi hanno detto: Aspetta, ci pensiamo noi“, racconta Lisa con gratitudine. L’equipe contatta lo psichiatra, che prescrive un sedativo calibrato per durare esattamente il tempo della seduta. Ogni giorno, per 30 giorni, Lisa viene sedata, posizionata e trattata. “Sono stati bravi anche in quello. Gli infermieri ogni giorno cercavano il modo di aiutarmi a rilassarmi.”

Durante il trattamento, Lisa può scegliere la musica da ascoltare. “Ti chiedono quale musica vuoi ascoltare durante la seduta di protonterapia“, e lei sceglie i Cranberries. “Non appena sentivo Dolores O’Riordan intonare le parole di Linger la mia mente si placava. Mentre facevo protonterapia anche i battiti del mio cuore accelerato si riducevano, i medici lo vedevano dai monitor.”

Consigli per chi deve fare la protonterapia

Lisa ha incontrato anche un’altra paziente con problemi simili durante la protonterapia: “Una ragazza faceva protonterapia negli stessi miei giorni e veniva immobilizzata nelle braccia. Mi diceva, vai serena che alla fine ce la fai.” La solidarietà tra pazienti, la condivisione dell’esperienza, il sostegno reciproco sono terapie invisibili ma potentissime.

“Se potessi dare un suggerimento a chi deve fare protonterapia, direi di farlo a occhi chiusi. La protonterapia non è dolorosa, sei sdraiata su un lettino, e in base alla localizzazione del tumore puoi indossare una maschera o meno. Tu devi solo rilassarti per mezz’ora: non vedi e non senti nulla perché i protoni sono fasce di particelle invisibili e indolori”.
Sorridendo, aggiunge: “Consiglio anche di preparare una playlist con quello che ti piace, ti rilassa la mente e ti fa stare bene”. La musica può fare una differenza enorme nel gestire l’ansia e rendere sopportabile una procedura ripetitiva e potenzialmente angosciante.

In Italia ci sono pochi centri dove fare la protonterapia, e lo IEO di Milano è uno di questi. Si tratta di una tecnologia costosa, complessa, che richiede macchinari sofisticati e personale altamente specializzato. Ma per tumori in sedi critiche, come quello di Lisa, può davvero fare la differenza.

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Effetti collaterali della protonterapia

  • Fatigue (stanchezza) 35% 35%
  • Nausea e vomito 25% 25%
  • Diminuzione dell’appetito 20% 20%

Gli effetti collaterali della protonterapia

La protonterapia, dal canto suo, causa un forte senso di bruciore. “Sentivo come se avessi il fuoco nell’esofago. Producevo anche molta saliva. Quindi, tra vomiti, saliva, bruciore non è stato un bel periodo.”

In questi momenti il supporto degli affetti è vitale. Un’amica di Lisa trova una soluzione creativa: “Mi portava la frutta, la masticavo giusto per sentire il sapore, magari arrivava lo zucchero e già mi faceva stare meglio.” Piccoli gesti che restituiscono dignità quando il corpo sembra non appartenerti più.

Dopo tutte le sedute, la radiologa va da Lisa con una buona notizia: “Il tuo esofago si è aperto, perché era chiuso completamente”. Lisa ha paura anche solo di bere, però ci prova e piano piano riesce. Poi passa a cibi frullati. “Adesso va un po’ meglio, riesco addirittura a mangiare il riso.”

“Oltre alle terapie, a nausea, effetti collaterali, con un tumore all’esofago non mangi e non bevi. Io non ho mangiato e bevuto per un paio di mesi.”

Il risultato è inaspettato

Alla gastroscopia di controllo, arriva la notizia straordinaria. “Non hanno fatto neanche la biopsia perché non c’era più niente. Ho anche paura di dirlo.”
Il tumore all’esofago sembra scomparso. Non serve l’intervento chirurgico previsto come ultima opzione. La protonterapia, combinata con la chemio, ha eliminato la massa tumorale senza bisogno di una terapia più invasiva e delicata come l’intervento chirurgico.

Ora Lisa è in fase di recupero. Il follow-up è stretto: una gastroscopia, poi una TAC. “Fino ad ora non è stata necessaria una biopsia, speriamo…” La paura non scompare del tutto, ma si trasforma in vigilanza consapevole.

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Vivere lontano da casa: il prezzo emotivo delle cure specialistiche

C’è un aspetto che spesso si sottovaluta quando si parla di cure oncologiche: la distanza da casa. “Per me, vivere fuori casa mentre fai le terapie non è stato bello” ammette. “Anche perché noi sardi siamo molto radicati alla nostra terra.”
Lisa ha vissuto presso una struttura di suore durante il periodo delle cure. Quando stava bene, cercava di uscire, di camminare per Milano, di tenersi occupata. Ma le assenze si facevano sentire. “Mi mancavano molto il mio cane, la famiglia e gli amici.”

È importante sottolinearlo: la scelta del centro di cura non va fatta solo su base geografica. “A volte si tende ad escludere una scelta terapeutica perché magari è lontana da casa” riflette Lisa con saggezza. “Ma non bisogna farsi spaventare dalla distanza, perché è giusto dare la priorità alla terapia migliore per il proprio percorso.”

Nel caso di Lisa, lo IEO di Milano rappresentava non solo l’eccellenza medico scientifica, ma anche un’equipe umana capace di affrontare le sue paure, di trovare soluzioni creative, di non arrendersi di fronte alle sue difficoltà. E questa completezza ha fatto la differenza.

L'importanza dell'equipe: l'empatia fa la differenza

“Non ho capito se ho affrontato con incoscienza o con paura” si chiede. “Però i medici mi hanno ispirato fiducia quindi mi sono affidata e fidata. Se il medico ti dice che ce la fai, anche tu ti devi aiutare, invece di vedere tutto nero.”
È un equilibrio delicato tra realismo e speranza, tra paura legittima e fiducia necessaria. “Appena me l’hanno comunicato ero in confusione, stavo male. Però poi torni a casa, e ripensi alle parole dei medici, te le ripeti e ti carichi. Così ti dici: andiamo, facciamolo.”

A differenza di certa avarizia di comprensione o empatia di cui qualche volta ci capita di raccontare, Lisa trova cura, attenzioni e supporto in una equipe straordinaria. “Sono stati tutti fantastici. Io non so come ringraziarli” ripete con riconoscenza.

“Se il medico ti dice che ce la fai, capisci che anche tu ti devi aiutare, invece di vedere tutto nero.”

Supporto psicologico e tanta empatia

Lisa è chiara su un punto: il supporto psicologico non è un lusso, è una necessità. Quando ti viene diagnosticato il cancro e poi un secondo tumore, quando devi affrontare terapie invalidanti, quando devi vivere lontano da casa, quando hai paura di morire, alla mente serve aiuto tanto quanto al corpo.

“Non so come ho fatto ma sono riuscita a passare in mezzo a tutto questo”, ripete Lisa. Ma in realtà lo sa: ce l’ha fatta grazie alla competenza medica, al supporto psicologico che ha scelto di utilizzare, all’empatia dell’equipe, alla vicinanza degli amici, all’amore del c0mpagno, al sostegno della sorella Giovanna, alla fiducia che ha scelto di riporre nei medici.

Affidarsi alla competenza tecnica e scientifica, è fondamentale. Ma è altrettanto importante poter contare su medici che sanno vedere la persona oltre la malattia, capire le sue paure, trovare soluzioni creative, non arrendersi e accompagnare il paziente giorno dopo giorno con pazienza e umanità.

Il sogno di Lisa: tornare alla normalità

Il sogno di Lisa è naturale e profondo: “Voglio solo tornare alla normalità, ai miei cari, al mio compagno, al mio cane e al mio mare.”
Dopo anni di ospedali, terapie, viaggi, dolore, paura, ciò che desidera è la cosa più semplice del mondo: la vita normale. Il suo mare, quello sardo che conosce da sempre. Il suo cane che l’aspetta. Il suo compagno che le è stato accanto. I suoi amici arrivati a Milano per sostenerla. La quotidianità fatta di piccole cose che, prima del cancro, si danno per scontate.
“Adesso sto ridendo, sto scherzando però è stato veramente pesante”, ammette Lisa. “Eppure, ce la fai, ce la puoi fare.”

La storia di Lisa non è una favola a lieto fine, perché la parola fine è ancora da scrivere. Ma è una testimonianza vera di cosa significhi affrontare il cancro. Non una volta, ma due. Non con un tumore qualsiasi, ma con il triplo negativo e poi con un carcinoma squamocellulare dell’esofago. Con la consapevolezza di portare dentro sé una mutazione genetica che ti predispone allo sviluppo di tumori.

Ma è anche la dimostrazione che la medicina, quando è eccellente sia dal punto di vista scientifico che umano, può compiere grandi cose. Che la fiducia nei medici, quando è ben riposta, può dare la forza di affrontare l’impossibile.

Lisa sorride. Ride. Scherza davanti al suo mare, insieme al suo cane e alla sua normalità. Questo, forse, è il vero significato di guarigione: non l’assenza della paura, ma la capacità di andare avanti nonostante tutto. La voglia di vivere che è più forte di ogni ostacolo.

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