Olga e il carcinoma duttale infiltrante: «La guarigione è il mio trofeo»


Il giorno del suo 33esimo compleanno Olga ritira l’esito degli esami per accertare le origini del nodulo al seno. Non sa ancora che il suo è un carcinoma infiltrante G3, quindi molto aggressivo. Lei è una donna forte e ha sempre saputo reagire alle difficoltà. Ma quando nella sua vita arriva la diagnosi di carcinoma duttale infiltrante, molte cose cambiano.

Nonostante un tumore al seno G3 tenda a crescere rapidamente, i progressi nella ricerca oncologica hanno migliorato le possibilità di sopravvivenza. Ed è grazie a uno studio sperimentale che Olga oggi, dopo 12 anni, può raccontare della guarigione dal carcinoma duttale infiltrante

Non ci sono sintomi o disturbi che preannuncino a Olga la presenza di un carcinoma mammario. Giocando con la sua bambina, però, avverte una pallina al seno, una massa inusuale che decide di fare controllare. Non appena la visita, il medico la manda in ospedale per effettuare gli esami. “Convinta di aver già dato tanto, perché in famiglia abbiamo attraversato parecchie difficoltà di salute impegnative, ho deciso di andare a ritirare gli esiti proprio il giorno del mio compleanno. Mi dicevo che avrei festeggiato buone notizie. L’ennesima batosta era impensabile”.

Invece, il responso è l’opposto di quello che spera. Quando mi hanno comunicato la diagnosi di carcinoma duttale infiltrante G3, non riuscivo a capire. Adesso so di cosa parlo, ma allora ero confusa e il medico non mi ha dato grandi spiegazioni, se non che mi avrebbero sottoposto ad altri esami”.

Che cos’è un carcinoma duttale infiltrante

Olga decide per un secondo consulto e, insieme al fratello che la sta vicino e la supporta, si reca a Milano. “Là, mi dicono che ho un carcinoma infiltrante aggressivo, perché è questo che significa il grado G3, e che sono da ricoverare subito e operare. Sono rimasta pietrificata nel sentire quelle parole. Mio fratello ha cominciato a porre domande al posto mio, per riuscire a capire quali fossero le mie condizioni e quali sarebbero state le possibili terapie. Io invece ero in uno stato di assenza, il mio corpo era lì, ma come svuotato. I loro discorsi mi giungevano ovattati, come suoni indistinti da un luogo lontano”.

Quando lasciano l’ospedale milanese, il fratello cerca di scuotere Olga dallo stato di torpore e autocommiserazione in cui sta sprofondando. “Ci è riuscito, in effetti. Perché in quel momento ho liberato i miei sentimenti, con la rabbia di chi pensa di avere già dovuto reggere il colpo di molte sofferenze. Mi ripetevo che non era giusto”.

Anche se è confusa, Olga non vuole andare alla ricerca di risposte in rete per scoprire quali sono le probabilità di guarigione per un carcinoma duttale infiltrante. Decide per un terzo consulto. Vuole sapere esattamente che cos’è questo tumore al seno infiltrante e quali sono le prospettive. Accanto ha il fratello che la sostiene, come sempre.

Quando incontra l’oncologo, Olga prova subito fiducia per quell’uomo che la chiama Olghina e dolcemente ammette: ”È proprio un bel casino”. La modalità empatica di comunicazione confidenziale innesca un legame immediato e diretto, che sfocia in un pianto liberatorio. “Lui mi spiega che, oltre alla massa principale, ci sono altre piccole masse tumorali. E mi suggerisce la chemioterapia neoadiuvante, per ridurre le dimensioni del tumore infiltrante prima dell’intervento, al quale seguirà poi la chemioterapia adiuvante”.

Olga si sente a suo agio e vuole sapere tutto, se starà male e se perderà i capelli. Parla liberamente, fa domande e si apre. ”Quando il medico ha sentito la mia storia, mi ha suggerito di affidarmi all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, per non aggiungere allo stress delle cure anche la fatica del viaggio. Mi ha avvisato che sarebbe stato un percorso difficile e che era meglio trovare una struttura che mi desse fiducia, ma vicino a casa”. Olga crede ciecamente nelle parole di quel professore che con empatia e molta chiarezza, le fa capire che cosa l’aspetta.

La cura del tumore HER2 positivo col trastuzumab

Il suo nuovo oncologo è uomo che non addolcisce la pillola, però ha il grande pregio di essere diretto, come piace a Olga. Lei ne apprezza la schiettezza, e vuole conoscere le probabilità di guarigione per il carcinoma duttale infiltrante G3, perché ha una figlia piccola alla quale pensare.

Il medico le propone di entrare nel protocollo sperimentale dello studio KATHERINE condotto a livello internazionale, che esaminava l’efficacia di trastuzumab emtansine (TDM-1), rispetto a trastuzumab, nel trattamento del carcinoma mammario HER2 positivo. Lei non è in grado di decidere con cognizione di causa, però si affida ciecamente al giudizio del suo oncologo: “Se fossi tua figlia mi inseriresti in questo studio?”, gli domanda.  “Sì, perché io conto molto nella ricerca e nella sperimentazione” le risponde lui. Per Olga è sufficiente, e accetta.

Come si cura un carcinoma duttale infiltrante?

Siccome le spiegano che avrebbe perso i capelli, Olga decide di non aspettare e li taglia. “Non volevo che mia figlia mi vedesse mentre mi cadevano le ciocche di capelli, quindi sono andata a rasarmi. E mi sono piaciuta. Mi sentivo e mi vedevo bella”. A quel punto è pronta per cominciare la terapia neoadiuvante, ovvero la cura che prevede la somministrazione della chemioterapia per ridurre la massa da asportare chirurgicamente.

Dopo aver ridotto la massa con la chemio, Olga è pronta per l’intervento di mastectomia destra che include contestualmente la radioterapia, con un trattamento che consente di concentrare l’intero ciclo in occasione dell’operazione chirurgica per l’asportazione del tumore al seno. “Quella è stata l’unica radioterapia che ho fatto. Gli esami successivi, però, hanno evidenziano ancora tracce tumorali”.

Quindi Olga comincia il trattamento adiuvante previsto dal protocollo dello studio sperimentale, con l’obiettivo di eliminare eventuali cellule tumorali residue e per ridurre il rischio di recidiva del tumore al seno. Come da protocollo, ogni paziente che partecipava allo studio non sapeva se sarebbe stato tra coloro che avrebbero assunto il farmaco trastuzumab. “Tuttavia, al terzo o quarto ciclo di cure si verifica un’importante diminuzione delle piastrine nel mio sangue. Quindi, per effettuare gli esami di controllo, mi devono sospendere la somministrazione del trastuzumab, e così scopro che facevo parte di quel gruppo.

A parte questo episodio, sul momento Olga non patisce effetti collaterali importanti. Esclusi il senso di stanchezza costante e qualche sporadico caso di emesi, infatti, conduce la sua vita attiva di sempre, nonostante le raccomandino il riposo. ““Per circa sei mesi ho fatto infusioni di trastuzumab, prima una volta al mese e poi una volta alla settimana. Se non fosse stato per i numerosi controlli ed esami clinici, non mi sarei accorta di essere in terapia con un protocollo sperimentale”.

storia di una guarigione dal carcinoma duttale

“Ho capito che è necessario mostrare comprensione per chi sta vicino a noi malati. Perché loro fanno ancora più fatica, si sentono impotenti e hanno molta più paura di noi. Noi impariamo a conoscere e gestire il cancro. Chi ci ama, invece, ne è terrorizzato”.

Dopo le cure con il trastuzumab, arrivano le difficoltà

Gli effetti collaterali delle cure per il tumore al seno si fanno sentire successivamente quando, concluso il ciclo con il trastuzumab, comincia la cura con il tamoxifene. Oltre alla stanchezza, arrivano i problemi di digestione e gli sbalzi di umore. “Non solo: sono passata in pochi mesi dal pesare 55 kg a 77 kg. Un po’ per la menopausa indotta e un po’ perché la notte non riuscivo a dormire e andavo a svaligiare il frigo di dolci, soprattutto ghiaccioli per contrastare le vampate di calore”.

“Di questo periodo ricordo di avere sofferto una grande solitudine, perché mi sembrava che nessuno riuscisse a capirmi. Alternavo momenti di rabbia a sorrisi e poi una profonda tristezza. Ero diventata intollerante a tutto”. Finché Olga capisce che non può andare avanti così, perché deve prendersi cura del suo benessere psicologico.

L’ospedale le aveva proposto un percorso terapeutico che Olga non aveva preso in considerazione. “Perché seguivo il supporto psicologico per la preparazione all’intervento al quale doveva sottoporsi mia figlia, che era la mia priorità. Ero arrabbiata perché temevo che se mi fosse accaduto qualcosa, la mia bambina non avrebbe più avuto me accanto nella sua crescita”.

Grazie a un’amica che l’affronta di petto, Olga capisce di essere responsabile della sua solitudine. Respinge gli altri perché lei per prima non si accetta più. Non si accetta nei chili di troppo, non si riconosce in quel corpo e nella persona che è diventata, diversa dalla Olga positiva e sorridente che è sempre stata. Nel frattempo, anche la sua situazione sentimentale è precipitata. E Olga si rende conto che deve fermarsi a elaborare e riflettere.

L’importanza del supporto psicologico

“In ospedale, durante la preparazione al programma di cura sperimentale, ci spiegavano che la sfera emotiva e l’atteggiamento mentale influenzano la malattia. Però, io sottovalutavo quei discorsi e anche i questionari psicologici, che in realtà erano un aiuto per imparare a guardare le esperienze da una prospettiva diversa”. Lo scontro duro con l’amica le offre lo spunto per riconsiderare tutto e per cominciare un percorso di analisi con un professionista. “Io continuavo a lavorare, a occuparmi della mia vita che nel frattempo aveva subito anche lo scossone della rottura della relazione con il mio compagno, e della malattia senza chiedere l’aiuto di nessuno”. Invece Olga deve fermarsi a elaborare, e per farlo serve un aiuto esperto. Olga capisce che non è più il momento di fare tutto da sola, che deve cedere il comando e cerca l’aiuto di una terapeuta. Da lei si fa guidare verso un’alimentazione corretta e nella corretta elaborazione di quello che le sta accadendo, per imparare ad accettare tutta la complessità e la gravità della situazione.

La sofferenza di sentirsi isolati nella malattia

La terapia psicologica è stata la chiave di volta. “I primi mesi sono stati faticosi perché ho dissotterrato nodi che mi hanno destabilizzato ancora di più, ed è uscita tutta la rabbia e l’aggressività di chi vuole fare ascoltare il proprio dolore. Tutti questi sentimenti con il tempo sono scemati e hanno lasciato il posto alla comprensione. Volevo che gli altri mi capissero, ma mi sono resa conto che non ero in grado di spiegare quello che serviva a me”.

Affrontare da soli tutti gli sconvolgimenti emotivi, ancor più che fisici, che si susseguono durante il percorso oncologico è ben più che difficile. Perché la malattia ti fa sentire isolata.

Ti aspetti che gli altri capiscano quello che tu attraversi, ma non è scontato che siano in grado di farlo. Perché nessuno è capace di immaginare ciò di cui non ha fatto esperienza. Soprattutto dopo l’intervento, quando dall’esterno può sembrare che il peggio sia passato, arriva la botta più pesante per una donna con un tumore. Chi ti sta vicino suppone che il miglior modo di aiutarti sia quello di non pensare più al cancro, non parlarne, sminuirlo per lasciarselo alle spalle e dimenticare tutto”.

Ma dimenticare non è possibile, perché tu sai che il tumore non è alle tue spalle. E che ci sarà per molto tempo. “Io avrei voluto piangere, condividere, raccontare quello che avevo passato, essere vista non più come malata ma come persona con un vissuto faticoso. Però attorno a me trovavo persone che avevano bisogno di dimenticare. Ed era quello che allora mi feriva, e mi faceva sentire sola”.

Così si ritrova il sorriso e la voglia di vivere

“Il percorso di analisi continua, perché mi sono resa conto della sua importanza. Ed è lo strumento che consiglio vivamente a deve affrontare la diagnosi di tumore e il viaggio della malattia. L’aiuto dei professionisti è importante anche per gestire tutto il carico esplosivo di emozioni che non vanno contenute o frenate, ma vissute appieno.

La malattia, o più in generale la vita, mi ha insegnato che cercare di trovare un motivazione a quello che ci accade può essere una perdita di tempo. Meglio, invece, cercare di trarre insegnamenti positivi anche dalle esperienze più dolorose e faticose. Io oggi ho imparato a dire: questo è quello che mi è successo, adesso cerchiamo di usarlo per migliorare quello che abbiamo”.

Nelle sue parole, nella serenità che trasmette mentre ti racconta con consapevolezza tutti i momenti difficili che ha attraversato, ti accorgi delle profonde verità a cui è arrivata Olga. La terapia ha aiutato Olga a trovare dentro di sé gli strumenti per affrontare la vita.

Non solo: questa nuova Olga, che si sente più giovane, più bella e più ottimista, ha deciso di cominciare a fare solo quello che la fa stare bene. “Ho lasciato il lavoro e mi sono rimessa a studiare” ammette con soddisfazione e un sorriso che illumina la stanza. “Ho preso il diploma, ma non mi fermo: voglio proseguire con gli studi”.

“Emotivamente, ho momenti in cui il passato torna a farsi sentire. L’esperienza del tumore è viva, è una cicatrice che non si cancella e nemmeno lo vorrei. Voglio che resti a influire positivamente sulle scelte future. Ne voglio continuare a parlare e desidero mostrare la mia esperienza e la guarigione dal tumore al seno come un grande trofeo”.

Sono passati 12 anni dal giorno in cui Olga ha ricevuto la diagnosi di carcinoma duttale infiltrante G3. In questo momento non ci sono tracce del cancro, lei però continua a fare i controlli annuali, perché quando entri nel mondo oncologico non ne esci mai completamente. Però questo non le ruba la voglia di guardare al futuro con positività. E semmai le diranno che il cancro è tornato, allora ci penserà. Nel frattempo, è nuovamente in forma, energica e impegnata a vivere la sua vita. Pienamente e con il sorriso sulle labbra.

Mara Locatelli

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