5 Giugno 2025

Tumore al seno: quando evitare la biopsia del linfonodo sentinella


Quando si può evitare la biopsia del linfonodo sentinella? Quali sono i vantaggi per le pazienti con un tumore al seno? Come cambia l’approccio alle terapie? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Elisa Vicini, chirurga senologa dello IEO di Milano, di ritorno dal St. Gallen International Breast Cancer Conference, importante appuntamento biennale sul carcinoma mammario con i massimi esperti mondiali

Le nuove linee guida sul trattamento del tumore al seno puntano su interventi sempre meno invasivi e più personalizzati. Una volta, per sapere se il tumore al seno avesse intaccato le vie linfatiche, si effettuava la linfoadenectomia ascellare, una procedura invasiva con importanti effetti collaterali, come l’accumulo di linfa al cavo ascellare e il linfedema, talora cronico. Poi si è capito che il primo dei linfonodi, il cosiddetto “linfonodo sentinella” fornisce le informazioni necessarie per accertarsi della presenza di eventuali metastasi.

Oggi, con una crescente attenzione verso cure meno invasive e più efficaci, gli specialisti si concentrano sulla possibilità di evitare la biopsia del linfonodo sentinella. Gli ultimi studi (Studio SOUND e INSEMA) dimostrano che asportare i linfonodi non è più una scelta obbligata.

In base alle caratteristiche del tumore al seno, infatti, è possibile evitare la rimozione del linfonodo sentinella, perché si è visto che non incide sul percorso di cura della malattia e sulla guarigione. Lo stesso vale per la dissezione ascellare che in alcuni casi non produce alcun vantaggio.

La dottoressa Elisa Vicini, chirurga senologa dello IEO di Milano, ci racconta le evidenze emerse al 19° St.Gallen International Breast Cancer Conference 2025. Si tratta di un importante appuntamento biannuale dove un panel di esperti mondiali stila un aggiornamento sul trattamento del carcinoma mammario.

Intervenire il minimo per ottenere il massimo

C’è un filo conduttore che lega le notizie e le ultime novità in arrivo sul trattamento del tumore al seno, ed è un atteggiamento che mostra una nuova attenzione verso la donna malata. “C’è un crescente interesse rivolto a migliorare la qualità della vita delle pazienti in cura per il tumore al seno” concorda la dottoressa Elisa Vicini. “Gli studi dimostrano che, in presenza di determinate caratteristiche biologiche, nelle pazienti sottoposte a un trattamento di chirurgia conservativa per tumore alla mammella allo stadio iniziale, non c’è necessità della chirurgia ascellare. Questa è la conferma che, quando possibile, si va verso trattamenti chirurgici meno invasivi, più mirati ed efficaci”.

Fare o non fare la biopsia del linfonodo sentinella?

Gli studi randomizzati – ovvero con metà delle pazienti sottoposta alla tecnica della biopsia del linfonodo sentinella e l’altra metà alla sola asportazione chirurgica del tumore nella mammella – hanno mostrato, infatti, che non c’è differenza nello sviluppo di recidive locali o della malattia a distanza di anni. “La chirurgia ascellare si continuerà a praticare, ma solo nei casi in cui è indispensabile fare la biopsia del linfonodo sentinella” precisa la senologa. “Perché adesso sappiamo che in molte delle pazienti sottoposte al trattamento conservativo della mammella, è possibile evitarla. Ovviamente, lo specialista deve valutare caso per caso, se ci sono le condizioni per seguire la procedura meno invasiva”.

Come spiegano le ricerche, la nuova strada si apre per le donne in menopausa che non presentano linfonodi sospetti all’ecografia e che sono sottoposte a un intervento di chirurgia conservativa della mammella con il tumore. “Quindi, per essere chiari, non parliamo dei casi in cui serve la mastectomia. Ci riferiamo a pazienti con un carcinoma luminale, ovvero un tumore caratterizzato dalla presenza di recettori per gli ormoni sessuali femminili e che non necessita di chemioterapia, a basso indice di proliferazione” sottolinea la specialista. “Solitamente il trattamento prevede una terapia endocrina, con una compressa da assumere per 5 anni, successivamente all’intervento. La radioterapia è di prassi, però nelle donne anziane, a volte, si può evitare”.

In questi casi, dunque, quando le dimensioni del tumore risultano inferiori ai 2 centimetri, si può evitare di fare la biopsia del linfonodo sentinella che, invece, è stata sempre considerata un punto fondamentale nel trattamento del tumore alla mammella.

Come si fa la biopsia del linfonodo sentinella

Nell’ascella si trovano alcuni gruppi di linfonodi dove arrivano le vie di drenaggio con i fluidi presenti nei tessuti. Il linfonodo sentinella della mammella si trova nel cavo ascellare ed è il primo filtro della linfa che proviene dal seno. La biopsia del linfonodo sentinella consente di verificare, durante un intervento chirurgico per tumore del seno, se le cellule tumorali si sono diffuse nei linfonodi ascellari.

Per visualizzare il linfonodo sentinella si inietta sottocute un piccola quantità non pericolosa di tracciante radioattivo, il Tecnezio-99, che lungo la via linfatica raggiunge il primo linfonodo che drena la linfa. A quel punto si rimuove il linfonodo sentinella, attraverso la stessa incisione utilizzata per il tumore oppure attraverso un’altra piccola incisione nella zona ascellare, e lo si analizza.

“Trent’anni fa, quando si trattavano i tumori della mammella si effettuava la dissezione ascellare, ovvero si asportavano tutti i linfonodi dell’ascella, a completamento della chirurgia perché considerati parte integrante della zona da curare” racconta la dottoressa Vicini. “Con la biopsia del linfonodo sentinella, invece, è possibile identificare e analizzare solo il primo linfonodo o la prima stazione linfonodale dell’ascella, e capire così se è possibile evitare di rimuovere altri linfonodi”.

Elisa Vicini chirurgo senologa IEO

Dott. Elisa Vicini, Chirurga Senologa dell’Istituto Europeo di Oncologia, IEO di Milano.

Quali sono gli effetti collaterali della biopsia dei linfonodi

La chirurgia ascellare non è priva di effetti indesiderati. “Anche se si effettua l’intervento con la massima cura, gli effetti collaterali possono esserci perché sono strettamente dovuti al fatto che l’asportazione dei linfonodi implica un blocco nel drenaggio linfatico” spiega la dottoressa Elisa Vicini. “Ci sono fattori, che vanno dall’entità della malattia alla necessità o meno della successiva radioterapia, che comportano una maggiore incidenza di linfedema”.

Nella biopsia del linfonodo sentinella il rischio di complicanze, soprattutto di linfedema, è decisamente minore rispetto alla chirurgia ascellare. In generale, però, il rischio rimane per tutte le pazienti che si sottopongono all’asportazione dei linfonodi al seno.

Possono formarsi dei “cordini” fibrosi che un fisioterapista può risolvere con opportune manovre di scollamento. Mentre, quando l’arto superiore si gonfia per il ristagno linfatico, è necessario farsi fare dal fisioterapista appositi bendaggi che agiscono come drenaggi linfatici specifici per tenere a bada questa patologia.

“Fare fisioterapia dopo l’intervento è importante per recuperare la mobilità del braccio e per evitare che si formi l’edema” raccomanda la dottoressa Vicini. “Ma nonostante tutte le accortezze, ci sono pazienti che incappano ugualmente nel linfedema, patologia cronica che può essere piuttosto invalidante”.

Se il linfonodo sentinella è positivo?

Le nuove linee guida invitano a non effettuare la biopsia del linfonodo sentinella nelle pazienti post menopausa con piccoli tumori ormonosensibili a bassa crescita. Ma negli altri casi? Che cosa succede quando il linfonodo sentinella o anche due linfonodi del seno risultano positivi?
Prendiamo in esame le pazienti che eseguono un trattamento conservativo, quindi la quadrantectomia, e che hanno uno o due linfonodi sentinella positivi e pertanto intaccati dal tumore. “L’indicazione della positività è un’informazione importante per personalizzare i trattamenti successivi, quali le cure mediche e la radioterapia, che insieme alla chirurgia riducono il rischio di recidiva locale e distanza” spiega l’oncologa. “Oggi, però, grazie ai risultati dello studio americano ACOSOG Z0011, con un numero limitato di linfonodi sentinella positivi – uno o due – non è necessario togliere gli altri linfonodi”.

Chirurgia meno invasiva e più attenzione alla qualità della vita

Probabilmente si andrà in questa direzione, con molta cautela, anche nelle pazienti sottoposte a mastectomia, ma con solo due linfonodi ammalati.
“Si, l’obiettivo è quello di comportarsi in maniera analoga non solo con i tumori più piccoli, ma anche con quelli un po’ più grandi” conferma la specialista. “Il fatto di non togliere i linfonodi non significa che non è rimasta traccia del tumore, perché a livello microscopico è possibile che ci siano delle cellule malate. Però, partendo dal presupposto che le terapie in loco sono sempre più efficaci, lo studio ha evidenziato che non è più indispensabile agire chirurgicamente sui linfonodi. Grazie alla diagnosi precoce e a trattamenti personalizzati efficaci, si può scegliere la strada della chirurgia meno invasiva a favore di terapie adiuvanti mirate, che offrono una protezione adeguata da recidive e una migliore qualità della vita”. Un esempio calzante, in questo senso, arriva dalla terapia endocrina post intervento che comporta l’assunzione della compressa per i cinque anni successivi all’operazione.

Nuovi schemi di trattamento alle terapie

Nel corso del Congresso si è parlato anche di altre interessanti novità che riguardano la cura del tumore al seno, a cominciare dall’efficacia dei nuovi schemi di radioterapia. Fino a un po’ di tempo fa si richiedevano 30 sedute di radioterapia da effettuarsi ogni giorno dopo l’intervento chirurgico. Adesso è possibile ridurre a 15 sedute di terapia, ugualmente efficaci perché le dosi vengono concentrate.

“Grazie agli studi, a terapie sempre più efficaci e a diagnosi più accurate, è possibile tarare le cure in base alla paziente, modulando il livello di aggressività dal punto di vista chirurgico, radioterapico e farmacologico. Oggi riusciamo ad avere molte informazioni che ci permettono di personalizzare le cure e viceversa di selezionare accuratamente le pazienti adatte a specifici trattamenti” spiega la senologa dello IEO. “Nelle pazienti che sappiamo avere un basso rischio di recidiva locale a distanza e senza necessità di biopsia dei linfonodi sentinella, è possibile adottare uno schema di radioterapia parziale. Questo significa irradiare solo una piccola parte della mammella e non più tutta”. E in qualche caso, soprattutto in pazienti con più di 70 anni, se ne può anche fare a meno.

Approccio olistico alle terapie

Stiamo andando incontro a un nuovo approccio tra medico e paziente, che riconosce un valore fondamentale alla qualità della vita durante le cure. “Nel corso del Congresso si è approfondito questo aspetto delle terapie. Perché, anche quando si lavora a un progetto di studio, che si tratti di chirurgia, di terapia medica farmacologica o di radioterapia, bisognerebbe coinvolgere le pazienti nella stesura del trial e, poi, anche successivamente” sottolinea la dottoressa Elisa Vicini.
È basilare, infatti, capire come personalizzare le terapie che hanno effetti collaterali importanti e che, magari, non sono indispensabili per alcuni malati. “Specialista e paziente devono valutare insieme anche l’aspetto della qualità di vita, trovare tra i farmaci e i trattamenti più efficaci quelli meglio tollerati” conclude l’oncologa. “Bisogna sempre mettere sulla bilancia sia il fattore del rischio sia l’effetto indesiderato, e trovare un equilibrio che varia da persona a persona”.

Le prospettive offerte dalla ricerca indicano con chiarezza una direzione: meno invasività, più precisione, maggiore attenzione alla qualità della vita dei pazienti. La personalizzazione delle terapie non è più solo un obiettivo, ma una realtà sempre più concreta, costruita sul dialogo tra medico e paziente. La sfida dei prossimi anni sarà continuare su questa strada, affinando strumenti diagnostici e terapeutici che permettano di curare meglio, con meno.

Mara Locatelli

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