Francesca: "Ho scoperto melanomi e un gene mutato solo dopo il tumore al seno"
Tre diagnosi di tumore, una mutazione genetica, infinite paure. Ma anche una band, un romanzo pubblicato e la voglia di continuare a sognare. Francesca Pongiluppi condivide la sua ricca storia oncologica senza retorica: dai momenti bui alla rinascita, passando per i cambiamenti del corpo, le scelte difficili e quel desiderio di trasformare il dolore in qualcosa di prezioso per gli altri
“Vi ho scritto perché avevo il desiderio di condividere la mia storia con altre persone che come me hanno ricevuto la diagnosi di cancro. Spero che la testimonianza del mio percorso oncologico possa essere utile a qualcun altro, così da dare un significato a questa malattia” ci spiega Francesca all’inizio della nostra chiacchierata. Sorride, sembra serena e non mostra né i suoi anni né l’aspetto di una malata. “Però la mia vita è cambiata, è inutile dire di no, è molto cambiata e voglio raccontarvelo”.
Francesca Pongiluppi è una donna di 52 anni, mamma di due ragazzi adolescenti, che nella vita ha scelto la professione dell’assistente sociale. Ora però le sue mansioni sono quelle del funzionario comunale “Perché nel momento in cui mi sono ammalata ho capito di non essere più in grado di offrire tutta la mia disponibilità mentale e fisica per assolvere un compito tanto delicato come quello del servizio sociale. Il tumore ruba tantissima energia e ho dovuto optare per una diversa carriera nel Comune di Genova, la mia città”.
“Il cancro ti fa sentire diverso, da te stesso e dagli altri. A questo non deve sommarsi il senso di vergogna o di inadeguatezza perché si affronta la malattia in maniera differente da come vorrebbero altre persone.”
La diagnosi è carcinoma duttale infiltrante g2
La storia del tumore di Francesca comincia quando, un sabato pomeriggio come tanti altri, accompagna i figli a un laboratorio di ceramica. Approfitta di quelle ore per inserire l’appuntamento dello screening al seno: quindi mammografia ed ecografia.
“Sono andata con tranquillità, non sospettavo che da lì a poco avrei avuto una notizia raggelante. Terminata la mammografia, che non evidenziava nulla, sono passata all’ecografia con la mente che già correva al marito in attesa fuori, ai figli da recuperare e al resto della giornata da passare insieme”.
Invece, il medico trova l’impensabile: una massa. Non è un fibroadenoma come lei immagina e spera, la conferma arriva pochi minuti dopo, ripetendo la mammografia. “Eccolo qua!, mi ha detto. E io mi sono sentita persa” ricorda.
Ricevere una diagnosi inaspettata è come prendere uno schiaffo violento in pieno volto quando meno te l’aspetti, la testa gira e tu fatichi a capire che cosa sta succedendo.
“Era la festa del papà e avevo comprato un vassoio di zeppole di San Giuseppe per l’occasione. Ricordo che le ho mangiate quasi tutte per il nervoso. Ero sconvolta e non sapevo come ritrovare la calma necessaria per presentarmi ai miei figli che aspettavano”.
Quando succede tutto così in fretta, la vita cambia in un istante e la mente non riesce a reggere il passo del proprio mondo che si capovolge. “Il lunedì, seguendo le istruzioni del medico, ho chiamato subito un centro per fare la biopsia: ho fatto il tru cut“.
Il tru cut è una agobiopsia tranciante che, grazie a un ago con uno speciale meccanismo di taglio, ricava un campione più grande rispetto all’ago aspirato, così da favorire un’analisi molto accurata per la diagnosi del tumore e il successivo trattamento.
“Ci è voluto un po’ di tempo per ricevere gli esiti e per avere la diagnosi della malattia: carcinoma duttale infiltrante g2. Ero così terrorizzata dal cancro che ho evitato di andare a cercare informazioni. Confesso che non è da me, perché sono un po’ una secchiona” dice ridendo. “Ma la paura in questo caso batteva il desiderio di sapere”.
Francesca si affida ciecamente a chirurgo e oncologo e si sottopone all’intervento per rimuovere il carcinoma alla mammella sinistra. “Mi hanno fatto una quadrantectomia e hanno effettuato anche l’asportazione del linfonodo sentinella. La cosa più brutta è stata la lunga attesa prima di ottenere l’istologico, quello che avrebbe determinato il percorso successivo e la terapia da seguire”.
“Il medico mi ha letto frettolosamente diagnosi e terapia con il medesimo trasporto con il quale si elenca la lista della spesa.”
La terapia ormonale per il tumore al seno
Dall’intervento chirurgico, effettuato il 3 aprile, passa più di un mese di attesa prima di ottenere l’appuntamento del 9 maggio che le prospetta il suo immediato futuro. Francesca non conserva un bel ricordo di quegli attimi, anche se la notizia che riceve è migliore di ciò che temeva.
Francesca spera che per lei ci siano cure diverse, soprattutto che non spaventino i suoi figli. “Per fortuna, per me hanno scelto la radioterapia: 15 sedute. Inoltre, siccome il mio era un tumore mammario ormonosensibile, mi hanno prescritto la terapia ormonale con l’Enantone, il farmaco che abbassa i livelli di estrogeni bloccando l’ormone che stimola la crescita di alcuni tipi di tumore, oltre al tamoxifene che ho preso per 5 anni e mezzo”.
Ci si può dimenticare che si parla davvero di vita e di morte?
“Non so se sia sempre così, o se ho avuto la sfortuna di avere davanti un medico particolarmente stanco, però non ha mostrato alcuna empatia. Mi ha letto frettolosamente diagnosi e terapia con lo stesso trasporto con il quale si recita la lista della spesa. Probabilmente, senza riflettere che davanti a sé aveva una donna che da oltre un mese attendeva con paura e apprensione le notizie sul suo destino”.
Francesca era molto in ansia per le terapie, soprattutto si preoccupava dei suoi bambini. “La mamma di una compagna di scuola di mio figlio, che allora aveva 10 anni, si era ammalata di cancro. Aveva fatto la chemio, erano caduti i capelli, ma la cura non aveva funzionato. Di conseguenza per lui chi faceva la chemio moriva, come la mamma della sua amica”.
La svolta lavorativa sofferta
Prima di entrare in sala operatoria, Francesca pensa che se le cose dovessero andare male, i suoi bambini potranno sempre contare sull’amore e sulla presenza del papà. Invece, cosa ne sarebbe dei ragazzini di cui si occupa in veste di assistente sociale? Chi penserà a loro? Francesca è molto turbata dalla necessità di dover lasciare i casi che segue senza avere il tempo di fare dei passaggi adeguati. “Per me è stato un trauma, come lo è stato quando ho capito che dovevo accettare di non rientrare più nel ruolo per cui ho studiato e che mi ha appassionato molto. Non ero più in condizione di esserci al mille per cento per quei ragazzini che, invece, lo meritano. L’ho fatto, ma è stata una scelta dolorosa”.
Sul cuore gli effetti della radioterapia al seno
Il percorso di Francesca è costellato di continui ostacoli, come quando, dopo l’intervento chirurgico per la quadrantectomia all’Ospedale San Martino, scopre che l’acceleratore lineare necessario per le irradiazioni successive è rotto. La radioterapia, alla quale di solito ci si sottopone subito dopo l’operazione viene così posticipata oltre che delocalizzata.
“Dopo quattro mesi, praticamente è passata tutta l’estate, a settembre mi hanno mandato a fare la radioterapia all’ospedale di Savona” racconta Francesca. “La radioterapia brucia i tessuti, e quindi c’è chi suggerisce di usare delle pomate, ma a noi dicevano di lasciare la pelle naturale. Io però ho cominciato a usare una crema lenitiva. Perché al leggero dolore iniziale ti abitui, ma con il tempo vedi anche gli effetti della scottatura”.
La radioterapia è spossante, la stanchezza che ti lascia addosso giorno dopo giorno è un effetto indesiderato al quale non ci si può sottrarre. “Quando però ho visto che non passava, sono andata dal cardiologo”. Lo specialista vuole vedere l’ecocardiogramma che pensa le abbiano fatto prima di cominciare la terapia. “Non ce l’avevo perché non mi avevano fatto nessun controllo cardiologico” spiega Francesca. “L’ecocardiogramma ha riscontrato un ispessimento del miocardio che, come mi ha spiegato il cardiologo, può essere congenito o una conseguenza della terapia radiante ma senza un esame preventivo non si può sapere”.
A seconda delle terapie oncologiche, infatti, e delle molecole utilizzate, il muscolo cardiaco può danneggiarsi. Per esempio, è noto che la radioterapia al torace sinistro, come nel caso di Francesca, possa causare danni al miocardio, ai vasi coronarici e al pericardio. Così come chemioterapia, farmaci biologici o immunoterapia possono avere effetti dannosi sul cuore. Ecco perché ogni malato dovrebbe farsi visitare da un cardioncologo che conosca bene la tossicità dei farmaci, non solo prima di iniziare le terapie e dopo, ma anche durante.
Infatti, come sottolineato, dall’European Society for Clinical Oncology (ESMO), oggi oltre allo screening pre-cure è necessario anche effettuare il monitoraggio durante le terapie per rilevare precocemente segni di cardiotossicità. Siccome i danni possono comparire anche a distanza di tempo, è indispensabile anche il monitoraggio post-terapia. Ed è sempre preferibile una stretta collaborazione tra oncologi e cardiologi.
“Non tutti siamo capaci di essere forti, non abbiamo lo stesso livello di resilienza né la stessa sensibilità.”
Il costo emotivo di ogni tumore
Amici e conoscenti la spronano a essere forte, come spesso si fa con chi sta vivendo la malattia oncologica, senza nemmeno fermarsi a riflettere. “Per chi non attraversa questo tunnel è difficile immedesimarsi e quindi comprendere. Non tutti siamo capaci di essere forti, non abbiamo lo stesso livello di resilienza né la stessa sensibilità. Viviamo e affrontiamo paure, insicurezze e fragilità in modo diverso. Per fortuna, aggiungo, perché la nostra unicità è preziosa e va rispettata” sottolinea Francesca. “Il cancro ti fa sentire diverso, da te stesso e dagli altri. A questo non deve sommarsi il senso di vergogna o di inadeguatezza perché si affronta la malattia in maniera differente da come vorrebbero altre persone. Bisogna lasciare da parte le aspettative altrui che ti vogliono vedere sorridente e padrone della situazione. Hai il diritto di avere paura e di avere i momenti in cui ti senti a terra”.
Effetti collaterali più diffusi
- Vampate di calore 70%
- Dolori articolari/muscolari 55%
- Secchezza vaginale/libido ridotta 60%
- Aument di peso/ritenzione liquidi 40%
La terapia ormonale cambia la femminilità di ogni donna
Gli effetti indesiderati della terapia ormonale si fanno sentire “Il mio corpo è cambiato improvvisamente sia esteticamente che fisiologicamente. Il desiderio sessuale è completamente svanito, privando me e mio marito di una parte importante del rapporto di coppia” spiega Francesca.
Il tutto risulta notevolmente appesantito dal fatto che finisci per tenerti dentro il tuo malessere. Perché altrimenti, agli occhi degli altri sembra che ti lamenti per cose di poco conto. “Ti ricordano subito che ‘Ti è andata bene’. Sì, certo, è andata bene, ma non è stata una passeggiata”, sottolinea Francesca.
E poi, con la terapia ormonale viene meno anche la possibilità di avere altri figli. “Avevo già 44 anni e nessun pensiero di un terzo bambino, ma così ho perso la possibilità di scegliere. Sono tante le situazioni alle quali non si pensa o si dà poca rilevanza, finché non le provi sulla tua pelle e allora scopri quanto pesano” spiega Francesca. “Mi sono trovata a fare i conti con un corpo che non mi apparteneva più del tutto. Era un corpo della scienza e della medicina alle quali mi affidavo con fiducia e rendo grazie, perché mi hanno salvato la vita, ma è anche un corpo che ho dovuto imparare a conoscere e accettare con i suoi nuovi limiti”
Il neo sospetto rivela un tumore della pelle
Francesca pensa di aver chiuso con la malattia, ma la vita le riserva un’altra prova. Quando la figlia fa notare ‘un neo strano’ sulla spalla di Francesca è piena pandemia. Tutti sono costretti in casa e non è possibile fare una visita. Appena cessa il lockdown Francesca approfitta della visita di controllo del seno per mostrare il neo.
“La lista d’attesa per ottenere una visita dermatologica era di un anno” spiega. “Per fortuna, ho superato ogni timidezza, perché appena hanno visto il neo hanno chiamato gli specialisti e nel giro di tre giorni mi hanno operato”.
Il neo è un melanoma infiltrante, per fortuna preso in tempo, con un indice di Breslow (che indica la profondità in millimetri del tumore) molto basso, senza crescita verticale. “Un’amica che lavora al laboratorio anatomopatologo, mi ha detto: ‘Nella sfortuna ti è andata bene’. Però è stato necessario un secondo intervento, perché in base al protocollo, una volta che trovano il melanoma eseguono il cosiddetto allargamento, ovvero estendono l’incisione e vanno in profondità per valutare se è già partita qualche metastasi. L’esito per fortuna è stato negativo”.
Da quel momento, cominciano i controlli della pelle e Francesca confessa di essersi scottata al sole numerose volte, soprattutto quando da ragazza seguiva la moda dell’abbronzatura selvaggia. “Nel 2023, in occasione della visita di controllo semestrale hanno trovato una lentigo maligna, ovvero un melanoma in situ”. Questo significa che il tumore è confinato agli strati superficiali della pelle e non ha ancora invaso gli strati più profondi o altri tessuti. “Però hanno fatto comunque l’allargamento per verificare che non ci fosse altro” sottolinea Francesca, mostrando le cicatrici lasciate da ciascuna escissione del melanoma.
Dopo il secondo melanoma il test genetico è di prassi
Con il secondo melanoma, come è prassi, scatta il percorso di consulenza genetica oncologica per valutare se è presente la mutazione in un gene che predispone al melanoma. “Hanno trovato la mutazione del gene ATM che comporta un rischio aumentato di tumore al seno, oltre che favorire l’insorgenza di melanoma”.
Questo comporta una maggiorazione del rischio pari al 30 per cento, sebbene a un rischio inferiore rispetto alle mutazioni BRCA. “Ecco perché i medici, in questo caso, mi tengono sotto controllo costante, con un follow up molto stretto. Invece della mammografia, devo effettuare una risonanza magnetica con contrasto. In pratica, dopo che mi hanno iniettato in vena il liquido di contrasto mi sdraio sul lettino all’interno di questo macchinario dalla forma cilindrica che sfrutta i campi magnetici per esaminare il corpo e restituire immagini estremamente dettagliate”.
“Il tumore mi ha fatto rivalutare il tempo che passa e le tante cose che voglio fare.”
La mutazione genetica ha un contraccolpo sui figli
Francesca è composta, pacata e serena mentre racconta gli anni passati su montagne russe oncologiche. Perché non è una, non sono due, ma sono addirittura tre le volte in cui le tocca sentirsi dire che c’era un tumore da togliere. E poi c’è la quarta notizia, quando scopre della mutazione genetica ATM che comporta per certo una maggiore predisposizione al cancro al seno, e che è costantemente al vaglio della ricerca scientifica nella valutazione di uno spettro tumorale più ampio.
Sapere di avere questa mutazione genetica è come portare dentro un ospite indesiderato che non se ne andrà mai. “La notizia del gene mutato ATM è stata in qualche modo più difficile delle diagnosi stesse” ammette Francesca. “Il mio pensiero è andato subito a mia figlia, che dovrà fare il test genetico quando sarà un pochino più grande. Come madre, l’idea di averle potenzialmente trasmesso questa predisposizione al cancro è un peso che porto dentro ogni giorno. Ma allo stesso tempo, sapere significa poter controllare, significa prevenzione. E questa è la speranza che voglio trasmettere ai miei figli: la consapevolezza è un’opportunità”.
Melanoma: tassi di sopravvivenza a 5 anni
- Uomini 88%
- Donne 92%
- Metastatico 35%
Nel tumore Francesca scopre la leggerezza della vita
Vivere ogni momento, senza cercare di apparire quella che non è, non le ha impedito di attraversare la malattia senza perdere il sorriso e la voglia di guardare avanti. “Anzi, il cancro mi ha fatto rivalutare il tempo che passa, le cose che voglio fare. Sono stata per un anno Pink Ambassador, che ha comportato partecipare a una corsa, impresa impensabile per una antisportiva come me. Invece ho corso 10 km che mi sono sembrati 300, sono arrivata terz’ultima quando mia figlia al traguardo aveva ormai perso le speranze”.
La malattia riporta l’attenzione sulla caducità della vita, che è passeggera per chiunque. Rendersi conto che tutti abbiamo i giorni contati, aiuta ad affrontare l’esistenza con un approccio diverso. “Proprio perché siamo a tempo, adesso mi dico da sola ‘Prova’. Prima non avrei mai partecipato a una corsa, invece il tumore mi ha insegnato a prendere la vita con più leggerezza, a smussare certe rigidità caratteriali e comportamentali, a mettere maggiore spensieratezza in quello che faccio e nelle mie giornate. Sono più intraprendente e non mi lascio più fermare dalla paura di non farcela. Fallire non è più un problema”.
”Su quest’onda ho deciso di scrivere una storia che mi stava molto a cuore e partecipare a un concorso letterario. L’ho vinto e il mio manoscritto è diventato un romanzo, un libro che adesso sto presentando nelle diverse librerie italiane. Chissà, senza questa leggerezza forse non ci sarei mai arrivata”.
La band, il libro e i sogni
Il sogno di Francesca è quello di poter continuare ad alimentare nuovi sogni. La passione e la creatività non le mancano, basta ascoltare le sua voce quando veste i panni della cantante degli Anaïs, il gruppo underground rock indie genovese, o leggere le sue parole quando in veste di scrittrice ti conduce tra le pagine del suo primo libro Come le lucciole edito da Solferino, alla scoperta della vita di due donne che in epoche distanti combattono per gli stessi ideali.
“Nel romanzo, c’è anche un personaggio che negli Anni ’80 si ammala di cancro. A quell’epoca non erano in molti a guarire, ci tengo a ricordarlo perché se oggi la sopravvivenza per i malati oncologici è notevolmente aumentata è grazie alla ricerca medica e scientifica che tutti noi possiamo contribuire a sostenere”.
Uno splendido invito che accogliamo.
In bocca al lupo, Francesca!
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