Si presenta sottolineando il taglio di capelli rock. E, risposta dopo risposta, emerge tutto il suo lato rock, dalla voglia di raccontarsi senza tabù alla grinta di raccontare quello che non va nella sanità italiana quando hai il cancro. Gaia Bennati, 24enne di Genova, sta per laurearsi in Psicologia ma da qualche mese i libri hanno lasciato il posto a ospedali e terapie per la cura del disgerminoma, un tumore raro all’ovaio.

Oggi Gaia ripercorre le tappe accidentate del suo percorso oncologico proprio per accendere i riflettori sulla prevenzione dei tumori e sui bisogni reali dei giovani pazienti. Allora, le diamo la parola perché siamo convinti che ogni storia, ogni testimonianza sia preziosa per chi sta vivendo la stessa difficile esperienza.

La diagnosi di disgerminoma dopo tanti mesi

I primi sintomi del tumore all’ovaio arrivano a febbraio del 2022, ma Gaia non sembra dargli troppo peso: in fondo, ha sempre somatizzato lo stress e da ragazza ha sofferto di anoressia. Così i dolori alla pancia e allo stomaco passano in secondo piano. Poi, a peggiorare il quadro, arrivano il Covid e una brutta bronchite.
“Le mie difese immunitarie erano allo stremo e ho avuto anche la cistite. Così mi sono sottoposta a un’ecografia. L’ovaio era di 5 centimetri (di solito, ne misura poco più di uno), ma gli esami, marker tumorali compresi, non hanno rilevato nulla. Così mi hanno detto che mi avrebbero operato all’ovaio, però l’intervento è stato rimandato diverse volte”.

Fino a quando, il 30 dicembre, Gaia entra in ospedale. Al risveglio, dopo l’operazione, scopre che i medici le hanno rimosso l’ovaio. Ed è davanti all’esito istologico che tutto crolla: “Mi hanno spiegato che avevo un raro tumore all’ovaio, un disgerminoma. Ricordo un taglio netto, un prima e un dopo nella mia vita. Mi viene da piangere ancora adesso quando ne parlo. In quel momento mi sono chiusa in me stessa per la disperazione. All’inizio, mi avevano parlato di un tumore al primo stadio, invece dopo qualche settimana hanno ipotizzato una nuova operazione per la stadiazione della massa. Io pensavo, appunto, che fosse al primo stadio…”.

“Io sogno anche uno spazio di lettura in ospedale per i malati. Durante il mio percorso di cura del tumore ovarico, i libri mi hanno aiutato moltissimi. Ma i bisogni reali dei malati oncologici sono molti di più e bisogna cominciare a reclamarli.”

Un’altra operazione e tre cicli di chemioterapia

Gaia si rende conto che qualcosa non va e chiede una seconda opinione all’Istituto dei Tumori di Milano. Questa decisione si rivela essere fondamentale perché gli oncologi le fanno capire che non ha tempo da perdere: perché c’è una metastasi e il tumore all’ovaio è arrivato al terzo stadio. “Il 16 marzo 2023 sono stata operata di nuovo e poi ho affrontato tre cicli di chemioterapia. Sono stati davvero duri: ho messo la mia vita in stand by e sento ancora il peso delle tante cicatrici che sono rimaste, a livello fisico e psicologico”.

Tra i tanti effetti collaterali delle terapie oncologiche, Gaia deve fare i conti con delle fortissime cefalee, innescate da un esame fatto per indagare le neuropatie rimaste dopo la chemio, che hanno un impatto notevole sulla quotidianità. “Però sono qui a raccontarlo. E proprio per questo voglio parlarne agli altri, perché la mia esperienza nel percorso di cura del tumore all’ovaio possa essere d’aiuto ad altri malati oncologici. Se posso aiutare anche solo una persona, sarò soddisfatta. Per esempio, non mi stancherò mai di dire ai giovani di fare prevenzione: non dimenticate mai i controlli necessari, a partire dai classici esami del sangue e dalla visita ginecologica. Anche la second opinion è importantissima: a me ha salvato la vita…”.

Dall'esame istologico alla chemio: i momenti bui

Il dolore e la sofferenza sono ancora molto vivi e il viso di Gaia si rabbuia se ricorda i momenti peggiori del percorso della malattia. I momenti difficili sono stati tanti, dall’esame istologico che l’ha fatta piombare nel girone dantesco dei pazienti oncologici all’ultimo ciclo di chemioterapia, quando il fisico era proprio stremato dagli effetti collaterali.
“Eppure a livello psicologico è stato più tosto il primo ciclo di chemio, perché non sapevo nulla di quanto sarebbe accaduto. Ho sperimentato il chemo brain. E ho capito che dovevo fermarmi e concedermi di stare male. Gli amici, mia mamma e la mia cagnolina sono stati la mia salvezza perché mi sono rimasti accanto ogni istante, anche in reparto. Certo, è vero che l’ottimismo fa bene, ma non possiamo raccontarci bugie perché la positività esagerata diventa tossica. Il cancro è come un lutto: la te stessa di prima non c’è più e questo è un trauma da affrontare”.

Gaia ha trovato la sua strada per affrontare questo cambiamento: ha deciso di parlare per cancellare tutti i tabù e le ingiustizie con le quali ci si scontra se ci si ammala di cancro. I primi sono ancora un fardello pesante: si fatica a pronunciare persino la parola “tumore” o “cancro”.
“Io, invece, consiglio ai giovani è di aprirsi, di discuterne e di avere fiducia nella scienza. Anche le ingiustizie sono tante. Da quando ho avuto la diagnosi sto vedendo come funziona davvero la sanità italiana  e purtroppo si sta andando verso la privatizzazione. Ci sono tante differenze tra le Regioni, ma ovunque si è spesso obbligati a pagare per esami e visite”.

Gaia sottolinea la necessità di informarsi e conoscere i propri diritti e le tante realtà attive sul territorio. “Negli ospedali, per esempio, operano molte associazioni, che offrono servizi preziosi, ma che spesso i pazienti stessi non conoscono. Così come non conoscono quello che serve davvero ai malati oncologici. Io in rete trovavo solo blog vecchi quando invece avevo bisogno di tante informazioni affidabili e aggiornate”.

La lotta per i diritti dei pazienti oncologici

La rabbia ha vissuto a lungo nel cuore di Gaia. Che, oggi, vuole trasformarla in impegno. “Sto scrivendo mail ai giornali per dare voce a noi pazienti oncologici. Voglio sottolineare quello che ci serve davvero: dal sostegno psicologico per noi e per i caregiver, al supporto di un nutrizionista, del fisioterapista e del dentista. Io sogno anche uno spazio di lettura in ospedale: a me hanno aiutato tanto i libri, soprattutto quelli di Gianluca Gotto. Insomma, sono tanti i bisogni e dobbiamo iniziare a dirlo”.

Da un sentimento distruttivo come la rabbia può nascere l’impegno e la voglia di costruire qualcosa. A partire dal desiderio di realizzare un nuovo sogno. “Non riesco a proiettarmi troppo nel futuro, vivo di settimana in settimana. Ma di sicuro so che voglio aiutare le persone come me e che voglio fare informazione sui social. Ho sempre detestato le ingiustizie e da piccola volevo diventare una giornalista proprio per denunciare quello che non va. Quindi, ora vorrei tanto laurearmi e fare qualcosa che unisca psicologia e comunicazione”.