L’immagine di Marina De Bonis, operata due volte per un tumore al seno, che stringe orgogliosa la medaglia appena conquistata alla maratona di Londra e che puoi vedere nella nostra video intervista, è qualcosa di così forte che diventa difficile descriverla a parole. Perché questa donna, 44 anni, modellista di professione e Pink Ambassador di Fondazione Umberto Veronesi per passione, ha affrontato un carcinoma, una recidiva e tante, troppe, complicazioni. Eppure, corre la maratona dopo un tumore al seno. E oggi, ultimo giorno di Ottobre Rosa, vogliamo ‘regalarti’ proprio la sua testimonianza unica.

Dolore e paura sono stati per anni compagni di viaggio di Marina. Chiunque si chiuderebbe dietro il silenzio, ma lei sceglie di rivivere questi ricordi per dare un esempio a chi sta provando gli stessi sentimenti. “Voglio dimostrare che farcela è possibile e, anzi, si può ricominciare anche meglio di prima. La mia storia è iniziata nel 2009: avevo 31 anni e stavo vivendo un periodo magnifico, visto che era appena nata mia figlia. Mentre la allattavo ho sentito dei noduli e all’inizio ho pensato che fosse proprio l’allattamento a cambiare il seno. Infatti, alcuni di questi si sono riassorbiti mentre uno è rimasto”.

Il medico le prescrive un’ecografia e Marina va all’appuntamento a cuor leggero: è giovane, sana, si tiene in forma con lo sport… Perché dovrebbe avere pensieri negativi? Invece, purtroppo, l’espressione preoccupata dell’ecografista la colpisce come un pugno in pieno volto e la mammografia e l’ago aspirato confermano la presenza di un nodulo maligno. “Il primo pensiero è andato a mia figlia, ai sogni che avevo e che forse non avrei più realizzato. Poi ho trovato la forza per reagire, un passo alla volta. Non ho mai temuto di non farcela, non pensavo alla morte, ma alle conseguenze della malattia”.

Marina entra in sala operatoria a fine agosto 2009 per una quadrantectomia. Ma poi l’esame istologico evidenzia delle calcificazioni e, quindi, ritorna in ospedale per la mastectomia. I medici scelgono di farle anche la ricostruzione del seno in contemporanea, ma l’intervento non va a buon fine. E a dicembre deve essere ricoverata d’urgenza: la cicatrice dell’intervento è in necrosi e la protesi va tolta. “Ero arrabbiata e delusa: le complicazioni accadono nel 10% dei casi, ma faticavo ad accettarle. Eppure, in quel momento è cambiato qualcosa. Ero ricoverata in un ospedale universitario e un medico mi chiese se potevano visitarmi anche dei giovani dottori per valutare il mio caso. All’inizio mi sono sentita violata, poi ho capito che tra quei giovani poteva esserci il luminare che un domani avrebbe saputo evitare quelle complicazioni, e ho accettato. Per la prima volta ho compreso che la mia esperienza poteva essere utile a qualcuno”.

Con questa convinzione nel cuore, Marina affronta il suo percorso: la terapia ormonale che la porta in menopausa, e le ruba il sogno di un’altra maternità, il seno mutilato e la ricerca difficile di una diversa intimità con il marito, e poi la chemioterapia, quella tradizionale, che annulla le forze e le fa perdere i capelli. “Mi ricordo la prima seduta: mi sono chiusa in bagno terrorizzata. Poi ce l’ho fatta e alla fine ho sentito che potevo rinascere. Così ho terminato anche la cura con gli anticorpi monoclonali e ho deciso che avrei sistemato il mio seno”. Anche stavolta la strada è in salita: Marina deve sottoporsi a diversi interventi che prendono il grasso dal suo corpo e lo trapiantano nella zona operata. Altre sfide la mettono alla prova: tanti ricoveri, una nuova protesi, cicatrici e dolori che intaccano l’identità, il suo essere donna.

Ma anche in questo tsunami, Marina sente la voglia di ricominciare. E il destino mette sulla sua strada qualcosa che la cambierà per sempre: tramite un’amica scopre che la Fondazione Umberto Veronesi cerca donne operate al seno che vogliano allenarsi e poi correre la maratona di New York. Lei dice sì e si accende di felicità. Conosce l’oncologo Umberto Veronesi, che illustra il progetto: lei e altre donne saranno Pink Ambassador, testimonieranno la possibilità di farcela e l’importanza dell’attività fisica, come recita la maglietta rosa che indossano con orgoglio e su cui campeggia la frase “Niente ferma il rosa, niente ferma le donne”.

Marina e le compagne si allenano per mesi e sbarcano a New York. E’ un sogno che si trasforma in realtà. Qualcosa che, dal letto di ospedale, non avrebbe immaginato nemmeno la persona più ottimista, eppure questa donna macina i 42 chilometri e a ogni passo si butta alle spalle gli istanti peggiori della malattia. Quando taglia il traguardo capisce che tutto è possibile e ora vuole urlarlo al mondo. Così torna a casa più forte, diversa, riprende la sua quotidianità e non si perde mai le attività della Fondazione.

“Quando ricevi una diagnosi la tua esistenza cambia per sempre, ma credo che sia sempre meglio provare a considerarla come un'opportunità per cambiare in meglio. Io ho cambiato lavoro e ho scelto di diventare ambasciatrice di Fondazione Veronesi. Ognuna ha il suo progetto, la sua sfida, il desiderio da realizzare: l'importante è valorizzare il presente impreziosendolo di cose nuove e di energie positive”.

Ma un nuove scossone squarcia il velo di serenità che si era faticosamente costruita. Alla fine del 2015 un controllo evidenzia un nuovo nodulo, una recidiva allo stesso seno. Il copione si ripete e stavolta è ancora più duro: bisogna asportare il nodulo, la vecchia protesi e 42 linfonodi, di cui 5 già in metastasi. “Mi sentivo comunque meno spaventata, ero più consapevole del percorso ed ero meno sola, visto che intanto erano nate associazioni e progetti. Le mie amiche Pink Ambassador, per esempio, sono state al mio fianco, non mi sono mai sentita sola. Sono stata operata a marzo e il 2 aprile si teneva la Milano Marathon, che loro avrebbe corso per raccogliere fondi. Mi sono presentata anche io, per andare a trovarle e quando le ho viste con lo striscione dedicato a me, ho cominciato a camminare con loro. E poi ho corso. Già, ho sentito di volerlo fare e sono arrivata alla fine. Qualche giorno dopo, al primo controllo dopo l’operazione, la dottoressa mi ha dato della pazza, ma ha trovato il braccio perfettamente guarito, senza gonfiore e senza il siero che di solito si forma dopo l’asportazione dei linfonodi”.

La corsa regala a Marina l’autostima fondamentale in quel momento perché capisce che, così come ha tagliato il traguardo della maratona, può tagliarne tanti altri. Con questa grinta, sopporta anche la malattia (un liposarcoma) del fratello Dino e organizza con lui un ultimo viaggio ad Amsterdam per correre insieme la maratona. La loro foto è la metafora perfetta dell’amore e della grinta. “Lui non ce l’ha fatta, lo sto ancora metabolizzando, ma in suo onore ho ripreso in mano un altro sogno: la maratona di Londra. E’ stato durissimo allenarsi, tra il Covid e l’estate più calda del secolo, ma ci sono riuscita e lo scorso 2 ottobre ho coronato l’obiettivo di finire la gara in 5 ore. Ora sono lanciatissima e ho un nuovo progetto: partecipare alle sei corse più importanti. Ho fatto New York e Londra e parteciperò a quelle di Berlino, Chicago, Boston e Tokyo”.

Guarda avanti Marina, costruisce il futuro e dipinge sogni. Sa bene che non bisogna sentirsi invincibili a tutti i costi e che gli imprevisti sono dietro l’angolo, ma prova a rialzarsi ogni volta che cade. “Quando ricevi una diagnosi di cancro la tua esistenza cambia per sempre, ma credo che sia sempre meglio provare a considerarla come un’opportunità per cambiare in meglio. Io ho cambiato lavoro e ho scelto di diventare ambasciatrice di Fondazione Veronesi. Ognuna ha il suo progetto, la sua sfida, il desiderio da realizzare: l’importante è valorizzare il presente impreziosendolo di cose nuove e di energie positive”.

Marina ci dice queste parole con gli occhi che si illuminano. Stringe la medaglia conquistata a Londra e ci spiega che, quando riuscirà a partecipare a tutte le 6 gare, ne riceverà una speciale. Koala Strategy fa il tifo per lei, e per tutte le donne come lei. Aspettiamo le foto delle vostre piccole, grandi, conquiste…