C’è chi scoppia a piangere a dirotto e chi, invece, non riesce a versare una lacrima per giorni. Alcuni rimangono immobili e poi sfoderano ottimismo, spesso per proteggere se stessi e i propri cari. Altri ancora, negano la realtà e nascondono gli esiti per fuggire da un dolore troppo forte. Le reazioni sono tante, quindi, tantissime. Elisa, la fondatrice del sito, le racconta così nel libro Koala Strategy:

Forse a troncarmi il respiro è l’espressione del dottore. Capisco subito che qualcosa non va: lui non mi guarda negli occhi, fatica a parlare.

«Non ho belle notizie», comincia così, e poi farfuglia una serie di termini tecnici che non capisco molto. Non pronuncia la parola tumore, usa neoplasia, quasi potesse fare meno male, tanto che sono io a chiedere se stiamo parlando di cancro. Lui annuisce e l’aria tiepida che entra dalla finestra diventa ghiaccio in un istante, come se tutto si fosse pietrificato.

Mia sorella scoppia a piangere, mentre io mantengo il controllo. Devo farlo, non posso crollare anche io. Il medico inquadra la situazione, preannuncia che servirà un intervento, ma che al giorno d’oggi questo tipo di operazioni sono la norma e la situazione potrebbe risolversi presto. Sembra che non voglia ingigantire la diagnosi, ma io non sono molto lucida. Riesco solo a spiegargli che a settembre dovrei partire per gli Stati Uniti e lui mi congeda con un lapidario «aspettiamo dopo l’intervento».

Il colloquio dura 10 minuti, al massimo 15, non riesco a chiedergli altro, forse devo metabolizzare io per prima la notizia. Mi aggrappo ai miei progetti per attaccarmi alla vita e cerco di sdrammatizzare. È più facile negare la realtà.

Usciamo dallo studio medico e ci avviamo verso l’uscita. Guardo le facce delle persone sedute in sala d’attesa. Non sento le loro voci. Vedo solo i loro volti. Qualcuno sorride, qualcun altro è impegnato con il cellulare. Mi trovo di nuovo nel mondo, ma sono ufficialmente una malata di cancro. E provo una sensazione che diventerà sempre più frequente: gli altri vanno avanti, continuano con le loro azioni di sempre mentre la mia esistenza si sta sgretolando e non ci posso fare proprio nulla. Il fidanzato di mia sorella ci aspetta fuori. Non servono discorsi troppo lunghi, bastano gli abbracci e le loro lacrime. Io non piango ancora e non lo farò a lungo. Agisco come un automa, eseguo ordini, i miei sentimenti paiono isolati, distaccati da me. Perché sono troppo sconvolgenti per esprimerli.

Devo avvisare mamma e papà. Al telefono minimizzo. Lo fanno anche loro. Ci proteggiamo a vicenda così. Ci costruiamo una piccola corazza. Chissà se basterà.

Lo sottolineano anche gli esperti: ogni atteggiamento è legittimo. Ma ti regaliamo comunque qualche piccolo mattone per costruire questo percorso:

1

concediti paura e debolezze e circondati subito delle “tue persone”, quelle che ti fanno star bene.

2

non farti intrappolare dalle previsioni di Dottor Google, ma affidati a medici competenti, a partire da quelli che ti hanno diagnosticato la malattia.

3

affronta ogni giornata come se fosse un piccolo passo, perché il cammino sarà lungo ma ogni percorso è fatto di tanti brevi tratti, uno dopo l’altro.